venerdì 9 maggio 2014

Tecniche di allenamento


               Tecniche di allenamento 

 

           La Tecnica o Serie del 21

 La Serie a 21 o del 21 o Tecnica 21, conosciuta in lingua inglese come 21′s o Twenty-ones, è una tecnica speciale applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.

La Serie a 21 prende il nome dal numero totale di ripetizioni per serie che si eseguono con questa tecnica. Ogni serie prevede l’esecuzione di 21 ripetizioni, ma in realtà si tratta di 3 serie consecutive da 7 ripetizioni nello stesso esercizio, che vengono diversificate tra loro dal diverso arco di movimento compiuto (Range of motion, ROM).

L’esercizio viene quindi suddiviso in 3 parti: le prime 7 ripetizioni vengono svolte seguendo la parte inferiore dell’arco di movimento; nelle 7 successive si percorre l’arco di movimento superiore che non era stato attraversato precedentemente; le ultime 7 prevedono di attraversare l’arco di movimento completo dell’esercizio.

In altri termini le prime 14 ripetizioni sono delle mezze ripetizioni che percorrono una diverso angolo di lavoro, a cui seguono delle normali ripetizioni complete. Altri autori descrivono le fasi del 21′s in maniera diversa: le prime 7 comprenderebbero l’arco di movimento più impegnativo, le 7 successive percorrerebbero una traiettoria dalla difficoltà intermedia, e le ultime 7 quella più vantaggiosa. In questo caso si eseguirebbe il primo gruppo di ripetizioni percorrendo solo il range più difficile e svantaggioso (definito come punto di difficoltà o sticking point).

Raggiunto il cedimento muscolare su questa breve traiettoria, si passa alla parte di difficoltà intermedia, per poi passare all’arco di movimento più facile. In questo caso le 21′s non prevederebbero l’esecuzione di una parte di ripetizioni a range di movimento completo, e si presenterebbero come una variante delle ripetizioni parziali, in quanto ognuno dei 3 diversi range di movimento eseguiti risulterebbe parziale. Sembrerebbe però che la più comune definizione delle 21′s coincida con la prima variante.

Le Twenty-ones servono a scioccare il muscolo obbligandolo a sopportare un tipo di sforzo a cui non è abituato, imponendo di fermare il movimento a metà strada durante il range of motion. Nonostante venga denominata Serie a 21, questa tecnica potrebbe essere eseguita anche con un numero inferiore di ripetizioni applicando lo stesso principio. Questo permetterebbe di variare l’intensità del carico (% 1 RM).

Effettivamente 21 ripetizioni complete equivalgono ad un’intensità relativa a circa il 60% di 1 RM. Se si intendesse lavorare con carichi e intensità maggiori, sarebbe necessario ridurre le ripetizioni (ad esempio 4+4+4=12 ripetizioni). Naturalmente non si dovrebbe raggiungere il cedimento muscolare alla settima ripetizione (~83% 1 RM), altrimenti risulterebbe difficoltoso il compimento delle ripetizioni successive, sebbene possano risultare parziali.

Solitamente questa tecnica viene applicata su esercizi monoarticolari (o di isolamento) come il curl per bicipiti o il leg curl. L’esempio più classico di questa tecnica viene esposto proprio con il primo degli esercizi descritti. Contrariamente a una buna parte delle tecniche speciali usate nell’esercizio di resistenza, sembra che le 21′s non siano state testate a livello scientifico, pertanto non se ne potrebbe confermare l’eventuale efficacia.

Quello che si può osservare, è che tale metodo impone l’utilizzo di carichi e di intensità abbastanza ridotti da poter permettere abbastanza ripetizioni, pertanto non se ne potrebbe riconoscere un’efficacia paragonabile alle tecnica ad intensità alta o intermedia (70-100% 1RM).

Esse rimangono una delle molteplici tecniche di origine strettamente empirica sorte in tempi passati, in cui il bodybuilding non era stato approfondito scientificamente come ai giorni nostri. Tuttavia è possibile supporre che gli effetti siano simili a quelli delle Ripetizioni parziali, di tecniche che portano ad un prolungamento del Time Under Tension (TUT) particolarmente enfatizzato, e che permettono di sollevare carichi relativi a basse intensità.

        La Tecnica del Mantieni Ripetizioni (MR)

 

 La Tecnica del Mantieni Ripetizioni (MR) è una tecnica applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.

La tecnica del Mantieni ripetizioni (MR) va a coinvolgere più serie di un esercizio. La sua applicazione prevede di stabilire dapprima il numero di serie dell’esercizio, il numero di ripetizioni nella prima serie, e un tempo di recupero incompleto, cioè che non consenta di recuperare pienamente i fosfati muscolari in vista della serie successiva.

La caratteristica fondamentale del MR consiste nel mantenere il numero di ripetizioni costante durante tutte le serie previste in un esercizio, e quindi di ridurre progressivamente il carico ad ognuna delle serie.

Nei programmi di allenamento con sovraccarichi adatti per sviluppare l’ipertrofia muscolare (bodybuilding), vengono indicati tempi di recupero brevi, solitamente della durata di 60-90 secondi, che possono essere considerati come incompleti. Questa definizione si basa sul fatto che questa tempistica impedisce che i substrati energetici principalmente impiegati sul breve termine nella prestazione – cioè i fosfati muscolari – vengano completamente ri-accumulati all’interno del muscolo attivo.

Infatti è stato dimostrato che, quando il tempo di recupero è di almeno 3 minuti, può essere mantenuta un’esecuzione di 10 RM (ripetizioni massime) per 3 serie, quindi la prestazione non subisce un decremento, almeno a breve termine. Tuttavia questi lunghi tempi di recupero vengono impiegati negli allenamenti con carichi ad alta intensità per sviluppare la forza massimale (>80-85% 1 RM). Quando invece viene impostato solo 1 minuto di recupero tra le serie, l’andamento delle ripetizioni massime cala progressivamente da 10, 8 e 7 RM in 3 serie consecutive

Uno o due minuti tra le serie sono i tempi di recupero più indicati per i protocolli di allenamento adatti allo sviluppo dell’ipertrofia muscolare o l’endurance muscolare, e vengono applicati nel caso di carichi a media o bassa intensità (<75% 1RM).

La tecnica MR può essere applicata con carichi di intensità variabile, ma generalmente in un contesto ipertrofia (60-80% 1RM). Infatti normalmente i protocolli di forza sono legati a tempi di recupero completi, che permettono che la prestazione non cali in maniera rilevante durante le serie. L’MR invece tiene conto del fatto che nei protocolli ipertrofia, che prevedono tempi di recupero incompleti, le ripetizioni decrementino per forza utilizzando lo stesso peso. Contrariamente al metodo Mantieni peso (MP), in cui è il carico che viene mantenuto stabile a scapito delle ripetizioni, il metodo MR vuole rendere il numero di ripetizioni stabile a scapito del carico.

Questo permetterebbe di mantenere col progredire delle serie anche il Time Under Tension (TUT) inalterato, nel caso questo aspetto venga ritenuto importante. Diversamente, il metodo MP impone una progressiva riduzione del TUT, la quale si tradurrebbe in uno stimolo sempre meno lattacido. Si ipotizza che i tempi di recupero incompleti possano favorire uno stimolo ormonale tipico dei programmi di ipertrofia.

Secondo Grainer e Paoli (2012), l’MR, così come l’MP, è una tecnica meglio adatta per gli atleti esperti, in quanto se proposta ai principianti, questi tenderebbero a eseguire lo stesso numero di ripetizioni con lo stesso carico, ma potrebbe essere utile per abituarli a lavori più intensi.
MR e Piramidale

Il metodo Mantieni ripetizioni condivide alcune caratteristiche con il Metodo piramidale. Questo perché ad ogni serie viene scalato il peso, come nella Piramide decrescente o Mezza piramide “Heavy to light”. Tuttavia vi sono delle leggere differenze tra i due sistemi, per il fatto che nel MR per definizione il numero di ripetizioni deve rimanere costante, quindi in ogni serie consecutiva deve essere scelto un carico tale da poter permettere di raggiungere il cedimento alla ripetizione stabilita.

Nella Piramide decrescente viene prevista una progressiva riduzione del carico come nel MR, ma allo stesso tempo viene previsto anche un numero di ripetizioni sempre crescente. La tecnica MR sarebbe quindi più adatta per gli atleti esperti, in quanto il numero di ripetizioni normalmente cala tra una serie e l’altra anche mantenendo i carichi costanti, a causa dell’affaticamento cumulativo e dei tempi di recupero incompleti.
Super MR

Recentemente, alcuni autori hanno diffuso una variante più intensa della tecnica Mantieni peso, denominata Super MR. Essa consiste sempre nello stabilire un numero di serie e di ripetizioni da svolgere nella prima di queste. Al contrario nella normale tecnica MR in cui il carico viene ridotto col progredire delle serie, nella Super MR il carico rimane invariato in tutte le serie previste.

Naturalmente il numero di ripetizioni a cedimento sarà sempre minore, quindi una volta raggiunto questo punto si passa subito ad una riduzione del carico – di circa il 10-15% – per proseguire immediatamente con il massimo numero di ripetizioni. L’operazione dovrà essere svolta fino al raggiungimento del numero di ripetizioni imposte nella prima serie. Ovviamente il carico dovrà essere scalato più volte nelle ultime serie. Questa versione del MR integra la tecnica dello Stripping (o Drop set), la quale prevede di scalare il peso da una a due volte per eseguire più ripetizioni all’interno della serie, e superare l’iniziale ostacolo del cedimento muscolare. In questo caso lo Stripping viene introdotto dalla seconda serie in poi, per poter consentire di raggiungere sempre le medesime ripetizioni impostate nella prima.

                        

                      La tecnica del Mantieni peso (MP)

                                

La tecnica del Mantieni peso (MP) è una tecnica applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.

La tecnica del Mantieni peso (MP) va a coinvolgere più serie di un esercizio. La sua applicazione consiste nello stabilire dapprima il numero di serie dell’esercizio, il numero di ripetizioni nella prima serie, e un tempo di recupero incompleto, cioè che non consenta di recuperare pienamente i fosfati muscolari in vista della serie successiva. Essenzialmente la tecnica MP impone di mantenere invariato il carico durante tutte le serie al cedimento muscolare. In questo modo il numero delle ripetizioni compiute dalla seconda serie in poi sarà sempre minore rispetto a quello della prima serie.

Nei programmi di allenamento con sovraccarichi adatti per sviluppare l’ipertrofia muscolare (bodybuilding), vengono indicati tempi di recupero brevi, solitamente della durata di 60-90 secondi, che possono essere considerati come incompleti. Questa definizione si basa sul fatto che questa tempistica impedisce che i substrati energetici principalmente impiegati sul breve termine nella prestazione – cioè i fosfati muscolari – vengano completamente riaccumulati all’interno del muscolo attivo.

Infatti è stato dimostrato che, quando il tempo di recupero è di almeno 3 minuti, può essere mantenuta un’esecuzione di 10 RM (ripetizioni massime) per 3 serie, quindi la prestazione non subisce un decremento, almeno a breve termine. Tuttavia questi lunghi tempi di recupero vengono impiegati negli allenamenti con carichi ad alta intensità per sviluppare la forza massimale (>80-85% 1 RM).

Quando invece viene impostato solo 1 minuto di recupero tra le serie, l’andamento delle ripetizioni massime cala progressivamente da 10, 8 e 7 RM in 3 serie consecutive. Uno o due minuti tra le serie sono i tempi di recupero più indicati per i protocolli di allenamento adatti allo sviluppo dell’ipertrofia muscolare o l’endurance muscolare, e vengono applicati nel caso di carichi a media o bassa intensità (<75% 1RM).

La tecnica MP può essere applicata teoricamente con carichi di qualsiasi intensità, quindi anche nei protocolli ad alta intensità (80/85-95% 1RM) indicati per lo sviluppo della forza massima. Tuttavia questi protocolli prevedono tempi di recupero abbastanza lunghi (3 minuti) da poter consentire che la prestazione non si riduca rilevantemente con l’andamento delle serie, differenziandosi dalla tecnica MP concepita in un contesto ipertrofia.

Per Mantieni peso infatti viene più correttamente intesa una modalità tipica dei protocolli ipertrofia con carichi a media o bassa intensità (60-75/80% 1RM), in cui vengono impostati bassi tempi di recupero (60-90 secondi), che impongono di conseguenza una riduzione delle ripetizioni dalla seconda serie in poi. Alcuni autori sostengono che i recuperi incompleti siano parte integrante della tecnica MP, la quale di conseguenza, prevederebbe per definizione un decremento delle ripetizioni con la progressione delle serie.

Considerando che i recuperi incompleti sono caratteristici dei protocolli di allenamento di ipertrofia (ma anche di endurance muscolare), ciò significherebbe che tale tecnica sarebbe applicabile soprattutto negli allenamenti adatti a tale scopo, e meno adatti per i programmi ad alta intensità legati allo sviluppo della forza massimale. I recuperi brevi – di circa 1 minuto – infatti consentono di produrre una risposta ormonale più favorevole all’ipertrofia muscolare.

Il tempo di recupero tra le serie però dipenderebbe anche dal grado di esperienza dell’atleta e dalla sua capacità di raggiungere il cedimento muscolare ad ogni serie. La durata dei tempi di recupero quindi potrebbe differire tra un soggetto principiante ed uno esperto, nonostante le linee guida indichino di mantenersi all’interno di un range di secondi più o meno definito in relazione alla specifica intensità del carico utilizzato, così come allo specifico stimolo muscolare.

Grainer e Paoli (2012) sostengono che la tecnica MP possa essere più adatta per l’atleta esperto, ma potrebbe essere consigliata anche ad un principiante in quanto la sua applicazione presuppone la capacità di dare il massimo ad ogni serie raggiungendo il cedimento muscolare. Un esempio di applicazione del MP potrebbe essere un esercizio da 4 serie scegliendo un carico che permetta 12 RM (Ripetizioni massime), correlato ad un’intensità relativa a circa il 67% di 1RM.

Se viene imposto un tempo di recupero incompleto (60-90 secondi), la seconda serie permetterà indicativamente 10 ripetizioni, la terza ne permetterà 8, e la quarta 6. Si tratta quindi di un metodo la cui applicazione spesso viene già sottintesa all’interno di un gruppo di serie di un esercizio, anche se non esplicitamente segnalata. Questo in quanto se viene dapprima stabilito un definito numero di ripetizioni, soprattutto in combinazione con una specifica intensità relativa (% 1 RM), viene implicitamente considerato il fatto che il carico non venga ridotto con l’andamento delle serie, a meno che non sia diversamente segnalato.
MP e Piramidale

Per la sua impostazione che impone una progressiva riduzione delle ripetizioni, il Mantieni peso ricorda il classico Sistema piramidale, ma in chiave riadattata e corretta, nonché più adatta per gli atleti esperti. Quest’ultimo metodo è stato infatti ampiamente criticato (soprattutto la variante decrescente in cui i carichi vengono aumentati) per il fatto che la riduzione delle ripetizioni, e quindi della prestazione, avviene spontaneamente anche senza l’incremento del carico col progredire delle serie.

Pertanto un sovraccarico aggiunto progressivamente non farebbe altro che imporre un’ulteriore decremento delle ripetizioni rispetto a quelle che sarebbero state previste. Nonostante entrambe le tecniche prevedano che in ogni serie venga portato a termine un numero di ripetizioni differente, in realtà c’è una differenza importante ed essenziale che distingue il metodo Mantieni peso dal Sistema piramidale in tutte le sue varianti.

Nel MP il peso rimane sempre stabile con l’andamento delle serie, mentre quello Piramidale, viene organizzato in maniera completamente opposta, perché prevede che il peso subisca sempre una variazione, in aumento o in decremento, con la progressione delle serie.
Super MP

Recentemente, alcuni autori hanno segnalato una variante della tecnica Mantieni peso ma più intensa, denominata Super MP. Essa viene organizzata come la MP, cioè scegliendo un determinato numero di serie, e di ripetizioni da eseguire nella prima di queste (e quindi la % 1RM correlata). Anche in questo caso viene imposto il mantenimento dello stesso carico durante le serie e tempi di recupero incompleti. Dalla seconda serie in poi si andrà in contro ad una riduzione delle ripetizioni e quindi della soglia del cedimento.

A questo punto l’atleta ripone l’attrezzo lasciando trascorrere un breve recupero di 20-40 secondi, per poi eseguire ancora il massimo numero di ripetizioni possibili. Tale operazione dovrà essere ripetuta fino a raggiungere il numero di ripetizioni imposte nella prima serie. Per chiaro che nelle ultime serie sarà necessario riporre il carico più volte. Tale variante trae evidentemente spunto dal Rest pause, tecnica che prevede di riposare alcuni secondi a seguito del cedimento muscolare, per riuscire a completare ulteriori ripetizioni fino all’esaurimento.

In definitiva il Super MP introduce il Rest pause dalla seconda serie in poi, per poter raggiungere il numero di ripetizioni che erano state portate a termine nella prima serie, e che altrimenti non sarebbero state compiute.

                La tecnica del doppio impatto

                                


        La tecnica de Doppio Impatto è un metodo speciale applicato nell’allenamento di resistenza (Resistance training), in particolare nel body building e fitness.

La tecnica de Doppio impatto sfrutta il meccanismo del riflesso miotatico (Strech reflex) o riflesso da stiramento (Lo stimolo è rappresentato dal rapido allungamento del muscolo, la risposta si manifesta con una contrazione involontaria del muscolo stesso.)

Questo stimolo viene ottenuto portando un muscolo rapidamente in massima estensione, provocando come risposta una contrazione involontaria del muscolo stesso. La tecnica culturistica che applica questo principio permetterebbe il massimo reclutamento muscolare sfruttando l’azione dei fusi neuromuscolari, dei recettori meccanici che si trovano all’interno dei muscoli striati.

Questi sono disposti in parallelo tra le fibre muscolari, con la funzione di registrare l’allungamento muscolare. Quando il muscolo interessato viene allungato improvvisamente ed in maniera eccessiva, i fusi intervengono provocando appunto questo riflesso miotatico, cioè un riflesso che provoca un’immediata contrazione del muscolo interessato.

    «Come un muscolo viene allungato, il fuso neuromuscolare registra il cambiamento di lunghezza, così come la velocità di variazione della lunghezza, e trasmette questo segnale al midollo spinale. Ciò attiva il riflesso miotatico, che tenta inizialmente di opporsi alla variazione di lunghezza dei muscoli causando in risposta una contrazione improvvisa. Più improvvisa è la variazione nella lunghezza del muscolo, e più forte sarà la contrazione muscolare. Così il fuso muscolare tenta di proteggere il muscolo da un infortunio. In breve, i recettori sensoriali del muscolo (fuso neuromuscolare e organo tendineo del Golgi) rappresentano un sistema di monitoraggio e mantenimento per un funzionamento ottimale e sicuro dei muscoli lungo il range di movimento.» Len Kravitz, Ph.D.

In base a questo principio si è voluto sfruttare il riflesso miotatico introducendolo all’interno di una tecnica di bodybuilding, la quale consentirebbe un maggiore reclutamento delle fibre nella conseguente fase concentrica. Il Doppio impatto sarebbe più indicato per gli esercizi monoarticolari (o di isolamento), per conferire il massimo carico in posizione di allungamento, e naturalmente sarebbe da introdurre solo in quella categoria di esercizi che permettono al muscolo di raggiungere il massimo stiramento.

Ciò in quanto non tutti gli esercizi lo permettono. Per applicarla, viene suggerito di eseguire la fase eccentrica in maniera controllata e enfatizzata  (ripetizioni eccentrica) fino a raggiungere il punto di massimo stiramento (se previsto nell’esercizio), risalire solo per un quarto del range di movimento (ROM, Range of motion) nella fase concentrica, e lasciare nuovamente cadere il carico fino a raggiungere nuovamente l’allungamento del muscolo, e ripercorrere la fase concentrica percorrendo il range di movimento completo sfruttando questa volta l’attivazione del riflesso miotatico. Grazie a questa risposta di riflesso, si riuscirebbe ad ottenere un maggiore reclutamento muscolare mediante l’intervento dei fusi neuromuscolari.

I movimenti balistici in cui la fase eccentrica viene eseguita in maniera esplosiva possono facilmente provocare infortuni. La velocità di rimbalzo può provocare una contrazione altrettanto reattivo del muscolo, portando a forzare l’area muscolotendinea e lacerazioni microscopiche delle fibre muscolari. In questo caso tale possibilità viene limitata in quanto questo movimento rapido viene permesso per un ROM parziale e molto breve, senza la possibilità di guadagnare un’accelerazione eccessiva e incontrollabile.

Come precedentemente menzionato, la fase eccentrica eseguita in maniera esplosiva percorre solo un quarto di tutto il ROM previsto. La ricerca ha rilevato che il riflesso miotatico può essere inibito nei muscoli che vengono allungati passivamente. I soggetti potrebbero rilassare i muscoli consapevolmente quando ci si aspetterebbe che si verifichi il riflesso miotatico.

Il Doppio impatto può essere efficacemente introdotto in esercizi come le croci con manubri, il pull-over, le trazioni a presa stretta (sbarra o lat machine), leg curl, o calf machine.                    

        

                  Le Ripetizioni Parziali o Burns


Le Ripetizioni parziali, o in inglese Partial repetitions, sono una tecnica applicata nell’allenamento coi pesi.
Definizione di Ripetizioni Parziali

Le Ripetizioni parziali sono una tecnica utilizzata nell’esercizio con sovraccarichi. Esistono in realtà due varianti delle Ripetizioni parziali:

    una consiste nell’eseguire delle ripetizioni lungo un arco di movimento incompleto o parziale, solo dopo che viene raggiunto il cedimento muscolare con delle ripetizioni ad arco di movimento completo. Queste vengono chiamate più nello specifico anche come Burns, X-reps, o Mezzi colpi e sono più comuni nel bodybuilding e fitness;
    una consiste nell’eseguire sin dall’inizio della serie le ripetizioni con l’arco di movimento incompleto, una tecnica adatta per essere applicata con carichi quasi massimali o sovra massimali. Questo metodo di allenamento viene chiamato più precisamente come Partial range of motion training o Partial ROM training, ed è più comune nel powerlifting e weightlifting;

Burns

Le Burns, definite anche come Burn reps, Partial ROM reps, X-reps, o in italiano Mezzi colpi o Ripetizioni a bruciare, sono una tecnica speciale pensata per essere applicata in seguito al raggiungimento del cedimento muscolare, per poter consentire di eseguire alcune ripetizioni aggiuntive senza l’aiuto di un compagno. Si tratta quindi di una tecnica che influisce essenzialmente sull’aumento dei parametri intensità e Time Under Tension (TUT).

Il cedimento muscolare si presenta quando, durante l’esecuzione di una serie, l’atleta non riesce più a portare a termine la fase concentrica delle ripetizioni durante tutto l’arco del movimento previsto (Range of motion, ROM). Dopo aver raggiunto questa soglia con un ROM completo e pulito, l’atleta si blocca senza riuscire a percorrere la parte più difficile del ROM stesso, ma è ancora in grado di continuare ad esprimere forza nella parte più facile, e può proseguire la serie eseguendo delle ulteriori ripetizioni. In altri termini si continuano le ripetizioni di un esercizio fino a quando non si è più in grado di continuare il movimento anche di pochi centimetri.

Ad esempio nel caso dello squat, significa iniziare la serie con delle ripetizioni complete accosciate, e dopo aver raggiunto l’esaurimento terminarla con dei mezzi movimenti partendo dall’alto. Le Burns o Mezzi colpi condividono alcune caratteristiche con altre tecniche intense che permettono di superare l’ostacolo del cedimento muscolare, come lo Stripping, il Super set, il Rest pause, le Ripetizioni forzate, le Negative sotto massimali, o il Cheating.

Esse infatti si basano sullo stesso principio fisiologico in quanto pensate per poter svolgere un numero di ripetizioni più elevato di quanto permetterebbe il carico. Queste sono chiamate anche come Burns o Burn reps (ripetizioni a bruciare), per il fatto che causano un notevole senso di bruciore legato all’intensa produzione di acido lattico, un effetto proprio delle attività anaerobiche lattacide in cui il parametro TUT viene particolarmente prolungato.

Il senso di bruciore comunque potrebbe essere percepito molto più intensamente con altre tecniche che impongono degli sforzi lattacidi e TUT ancora più prolungati. Ad ogni modo l’uso delle Burns può essere sfruttato per aumentare lo stimolo metabolico ormonale, l’ipertrofia muscolare e l’endurance muscolare.

La tecnica si basa sul principio che considera come, durante il range di movimento in una ripetizione, la forza che il muscolo è in grado di esercitare non è costante, ma viene condizionata dalla forza di gravità e dall’intervento della muscolatura sinergica. Nell’arco del movimento esistono infatti delle parti più o meno impegnative.

Dall’applicazione delle Burns, l’esecuzione quindi si sposta sempre più nell’arco di movimento favorevole, potenzialmente sia in massima contrazione che in massimo allungamento. Viene ipotizzato che le Burn reps, pur provocando un potenziale aumento della risposta infiammatoria e dell’ipertrofia muscolare, creino un danno inferiore e una risposta inferiore rispetto ad altre tecniche simili come le ripetizioni forzate, le quali invece permettono di percorrere un arco di movimento completo.

Proprio per tali motivi sarebbero una tecnica meno efficace, o comunque meno intensa. Viene suggerito che possano essere introdotte durante un periodo di preparazione per una fase di alta intensità. Pare che non vi siano prove scientifiche o ricerche che abbiano testato l’effetto dei Mezzi colpi, tuttavia sono tradizionalmente diffusi nelle strategie di allenamento tipiche del bodybuilding.
Partial ROM training

L’altra variante delle Ripetizioni parziali è il Partial ROM (Range of Motion) training, cioè allenamento a range di movimento parziale. Si tratta di una tecnica avanzata adatta per essere utilizzata con carichi vicini al massimale o superiori al massimale, la quale viene applicata dall’inizio della serie, in genere nel range di movimento dove viene espressa più forza. Il principio sta nel fatto di ridurre le inibizioni neuronali utilizzando un carico sovra massimale, e allenandosi nell’arco di movimento (Range of motion, ROM) più forte.

Il ROM più forte è stato definito più precisamente come quella parte del ROM che non passa per il punto di difficoltà (sticking point) nella porzione superiore della ripetizione. Ad esempio, durante l’esecuzione della panca piana, questo è stato riconosciuto come il punto vicino alla massima estensione dei gomiti.

Il punto di difficoltà può essere definito come quella zona più difficile o dura da attraversare durante l’arco del movimento completo, in quanto condizionata dalla forza di gravità. Essa corrisponde, nel caso dei pesi liberi, a quando il segmento in movimento raggiunge una posizione parallela al pavimento. Ad esempio nel caso delle alzate laterali, questo viene raggiunto quando il braccio (omero) si posiziona in orizzontale e in parallelo al pavimento, coincidendo con il punto di massima contrazione del deltoide.

Nelle distensioni su panca, il punto di difficoltà viene raggiunto quando il braccio (omero) è posizionato in parallelo a terreno, quindi coincide più o meno con il massimo stiramento del grande pettorale. Nello squat viene raggiunto quando la coscia (femore) raggiunge l’orizzontale, quando il quadricipite e il grande gluteo raggiungono un apprezzabile stiramento.

Nel curl per bicipiti, questo giunge quando l’avambraccio (ulna e radio) raggiunge la posizione orizzontale rispetto al terreno, più o meno a metà strada tra la massima contrazione e il massimo allungamento del bicipite. Il Partial ROM training viene programmato per evitare di passare lungo il punto di difficoltà, e quindi evita che il segmento attivo (avambraccio, braccio, coscia, gamba o tronco) raggiunga quella parte del range di movimento in cui si ritroverebbe in orizzontale rispetto al pavimento o in prossimità di tale punto.

Questo ROM molto limitato potrebbe percorrere gli ultimi 5-10 centimetri della ripetizione, ma permette di sollevare molto più carico rispetto ad una ripetizione completa. È stato ipotizzato che l’adattamento creato da questo tipo di allenamento si verifica a causa di una riduzione dell’inibizione neuronale in risposta all’utilizzo di carichi estremi.

Tale metodo di allenamento è forse più indicato per gli atleti di forza come i powerlifter, che potrebbero ottenere dei significativi benefici sull’aumento della forza massimale. Il Partial ROM training può essere altrimenti introdotto nei cicli di forza ad alta intensità. Questo stile di allenamento è riservato ad atleti esperti, e richiede l’intervento di un assistente (spotter) dati i carichi molto elevati, che in alcuni casi possono corrispondere ad intensità sovramassimali (>100% 1RM).

L’assistenza, simile a quella applicata nelle ripetizioni forzate, si focalizza soprattutto nella parte inferiore della ripetizione, ma viene attenuata nella fase finale vicino al punto massimo di forza (massima contrazione del muscolo agonista durante il ROM).

Alcuni esercizi su cui può essere sfruttato il Partial ROM training sono lo squat, le distensioni su panca e gli stacchi da terra limitando la piena discesa del peso.
La ricerca e testimonianze

In relazione alle Burns o Mezzi colpi la ricerca sembra non abbia approfondito l’argomento, tuttavia è possibile supporre che tale strategia consenta di provocare uno stress metabolico e ormonale superiore rispetto ad una normale serie a cedimento. Essendo una tecnica che porta a prolungare il Time Under Tension (TUT) della serie, l’aumento di tale parametro porta ad un maggiore dispendio energetico complessivo. Si ipotizza che le Burn reps inducano effetti simili alle Ripetizioni forzate, anche se meno pronunciati. Quest’ultima tecnica si è dimostrata efficace per aumentare la secrezione del GH e del testosterone.

Il Time Under Tension può avere un importante ruolo nell’aumento della secrezione dell’ormone della crescita (GH), poiché più lungo è il tempo sotto tensione (la durata della serie), maggiore è la produzione di acido lattico, il quale è a sua volta proporzionale alla produzione di GH. Il tipico bruciore muscolare indotto dalle Burns (in realtà percepito in genere negli sforzi lattacidi prolungati), da cui la tecnica stessa prende il nome, è sintomo di un’ulteriore e più intensa produzione di acido lattico, e ciò può essere connesso direttamente con un aumento dei livelli di GH.

Per quanto riguarda il Partial ROM training, c’è stato invece un interesse scientifico che ne ha esaminato i benefici. Il primo a supportare tale strategia in un contesto empirico fu Zatsiorsky, allenatore responsabile del successo dell’Unione Sovietica alle Olimpiadi e nelle competizioni internazionali, che ne rivelò l’efficacia nel suo libro Science and Practice of Strength Training (1995).

Questa tecnica di allenamento è presumibilmente basata sul lavoro di Zatsiorsky con i suoi atleti prima della caduta dell’Unione Sovietica. Conosciuto come principio di accentuazione, questo concetto sostiene che l’allenamento deve avvenire nel range limitato del movimento che consente la massima produzione della forza.

Gli statunitensi Peter Sisco e John Little, ideatori del Power Factor Training, nel loro libro omonimo trattano l’applicazione di questo metodo. Questi ricercatori supportano la teoria che i movimenti parziali usando carichi più pesanti risultano superiori ai movimenti completi per sviluppare la forza e la massa muscolare.

Tale teoria contrasta con quella promossa dalla maggior parte degli esperti del settore, i quali insistono nel sostenere che le ripetizioni dovrebbero essere svolte lungo un range di movimento completo, e che non possono essere ottenuti benefici ​​dai movimenti parziali.

Queste considerazioni, pur provenendo da personalità autorevoli nel campo dell’esercizio coi pesi, in realtà non trovavano conferme scientifiche, ma si limitavano a fare affidamento su ipotesi di carattere empirico. È interessante notare che Sisco e Little hanno sostenuto fortemente la loro posizione discordante.

Essi fornirono convincenti informazioni, aneddoti e supposte testimonianze sull’uso di ripetizioni parziali da parte di noti atleti. Tuttavia, i dati della ricerca che fornirono erano limitati. Mentre i dati relativi al lavoro di Sisco e Little sono scarsi, altri ricercatori decisero di approfondire scientificamente la validità di questa teoria.

Sullivan et al. valutarono se il Partial ROM training potesse accentuare la risposta cardiovascolare rispetto alle ripetizioni complete. Nello studio venne testato l’esercizio del curl con bilanciere. I ricercatori scoprirono che il Partial ROM training produceva una significativa elevazione della frequenza cardiaca, dei livelli di pH e lattato, e della percezione dello sforzo (Scala RPE) rispetto all’esercizio con movimenti completi. I ricercatori ipotizzarono che il range di movimento parziale aumenta la velocità di movimento, aumentando così il lavoro eseguito per un determinato periodo di tempo, con un conseguente maggiore effetto dato dall’allenamento.

Jones et al. (1999) introdusse una serie di ripetizioni parziali nel loro studio indagando sui rapporti tra la massima accelerazione concentrica e lo sviluppo di forza e potenza. I ricercatori indicarono che le ripetizioni parziali avrebbero potuto risultare un fattore in grado di influire sui guadani di forza e potenza ottenuti.

Mookerjee e Ratamess (1999) decisero di investigare sulle differenze nei guadagni di forza massima dopo l’esposizione acuta a due protocolli, rispettivamente ad arco di movimento completo e incompleto sulla panca piana. Cinque atleti di forza allenati di sesso maschile (età media 25 anni) vennero sottoposti a questo test in due occasioni separate da 4 giorni. Gli allenamenti si suddividevano in 2 protocolli da 1 RM e 5 RM, entrambi i quali vennero testati con ripetizioni parziali o complete.

I risultati indicarono che le prestazioni su panca con ROM parziale incrementarono significativamente sia per i protocolli 1 RM che 5 RM. Questa indagine dimostrò che possono verificarsi delle differenze nei guadagni di forza con un’esposizione acuta ad un esercizio coi pesi con Range of motion (ROM) parziale. Essi constatarono che le ripetizioni a ROM parziale risultavano maggiori di circa l’11 e il 18% rispetto alle ripetizioni a ROM completo. Tra le due sessioni, il peso sollevato con le ripetizioni a ROM parziale era maggiore di circa il 4,5%.

Poichi anni dopo, anche Massey et al. (2004) paragonarono le differenze tra l’allenamento a ROM completo e incompleto. Cinquantasei maschi vennero coinvolti in un programma di forza delle durata di 10 settimane, che comprendeva tre serie di distensioni su panca per due volte alla settimana. Un gruppo si allenava con un ROM completo, con un carico di circa il 65% 1 RM. Un altro gruppo si allenava con ROM parziale, utilizzando un carico relativo al 100% di 1 RM. In questo caso la ripetizione parziale prevedeva che il movimento di fermasse tra i 2 e i 5 pollici (circa tra 5 e 12 centimetri) prima della massima estensione del gomito.

Il terzo gruppo si allenava con una combinazione tra serie con ripetizioni con ROM completo e altre con ROM incompleto. Alla fine delle 10 settimane, i soggetti avevano tutti guadagnato circa la stessa quantità di forza su panca piana. I ricercatori ipotizzarono che, visti i simili risultati nell’efficacia tra i due tipi di allenamento, le ripetizioni parziali potrebbero rappresentare una strategia per prevenire la perdita di forza nei muscoli lesionati che non possono compiere un range di movimento completo.

Quindi se si accusano infortuni muscolari che impediscono di compiere un movimento completo, è possibile eseguire un mezzo movimento per ottenere gli stessi benefici. In secondo luogo, i ricercatori hanno suggerito che, poiché i soggetti non erano dei pesisti allenati, il vantaggio di ripetizioni parziali avrebbe potuto essere difficilmente individuato con certezza, visto che i principianti inizialmente ottengono dei miglioramenti indipendentemente dall’impostazione specifica del loro programma di allenamento. Hanno inoltre suggerito che gli atleti allenati che hanno raggiunto uno stallo con l’esercizio tradizionale, potrebbero ottenere degli ulteriori guadagni della forza con un programma a ripetizioni parziali.

Pinto et al. (2012) indagarono sulle differenze tra un allenamento coi pesi per la parte superiore del corpo a ROM parziale e ROM completo sulla forza e l’ipertrofia su soggetti maschi giovani. Il programma prevedeva un allenamento per 2 volte a settimana per 10 settimane. I ricercatori conclusero che entrambi gli allenamenti favorivano un aumento della forza muscolare, ma il gruppo che si allenava con un ROM completo sviluppò una maggiore forza. Anche l’ipertrofia rispose positivamente in entrambi i gruppi, anche se il ROM completò favorì risultati leggermente superiori. I dati suggerirono che la forza muscolare e l’ipertrofia possono essere migliorati con entrambi i metodi di allenamento, ma il ROM completo può portare a maggiori guadagni soprattutto per quanto riguarda la forza muscolare.
Conclusioni

Nonostante i pareri discordanti da parte di alcuni professionisti dell’esercizio coi pesi, le recenti ricerche sull’argomento riconoscono nel Partial ROM training un metodo piuttosto efficace per migliorare la forza massimale. Sembra che gli atleti che si allenano esclusivamente con una ROM completo potrebbero non riuscire a guadagnare incrementi della forza massimale in maniera ottimale nella zona in cui si verifica maggiormente il suo sviluppo.

È stato ipotizzato che un ROM parziale possa consentire un guadagno di forza ottimale grazie all’eliminazione del punto di difficoltà, dando così all’atleta un vantaggio biomeccanico. I ricercatori hanno basato questa conclusione sul fatto che i soggetti erano in grado di utilizzare carichi maggiori nei movimenti parziali rispetto ai movimenti completi. Ad ogni modo è stato verificato che sia l’esecuzione lungo un ROM completo che incompleto possano favorire guadagni di forza simili, dimostrando che il Partial ROM training possa essere un metodo alternativo per poter sviluppare la forza massimale, soprattutto per i powerlifter che più di tutti necessitano di ottimizzare tale qualità muscolare.

Questo metodo comunque trova l’applicazione in una serie di esercizi piuttosto limitata, specie quelli adatti all’uso di carichi elevati tipici del powerlifting (stacchi, squat, panca piana). Esso può essere suggerito come strategia per superare lo stallo nello sviluppo delle prestazioni, o per evitare di peggiorare eventuali infortuni muscolari o articolari che insorgerebbero più facilmente eseguendo un arco di movimento completo.

  La tecnica del Blocco circolatorio nel BB

 



Il Blocco circolatorio o Occlusione vascolare è una tecnica speciale applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.
Definizione

La tecnica del Blocco circolatorio viene applicata solo dopo aver terminato il numero di ripetizioni previste in una serie. Una volta raggiunto tale limite, il muscolo attivo viene mantenuto in uno stato di contrazione volontaria per buona parte del tempo di recupero tra le serie.

Il blocco circolatorio creato da tale tecnica provoca una condizione di ischemiafunzionale, limitando l’afflusso di sangue e l’apporto di sostanze nutritive, e impedendo anche un efficiente smaltimento dei metaboliti tra cui l’acido lattico.

La contrazione muscolare causa un blocco o compressione dei vasi sanguigni “ab extrinseco”, in particolare sulle vene, le quali hanno maggiori capacità di dilatazione rispetto alle arterie, andando a creare un turgore venoso, ovvero un aumento del volume delle vene.

In questo caso il fine è di aumentare il disturbo metabolico, una pratica tipica dei programmi con i pesi per l’aumento dell’ipertrofia muscolare. Mantenere la contrazione al termine della serie infatti mantiene delle condizioni metabolicamente stressanti come la riduzione del reintegro di fosfati, l’aumento delle concentrazioni di acido lattico e il conseguente abbassamento del pH, e lo stimolo sui fattori di crescita come gli HIF (Hypoxia-inducible factors).

La tecnica del blocco circolatorio è una tecnica per atleti avanzati da non eseguire sempre e comunque in ogni sessione, non è quindi legata ad alcuna ciclizzazione o periodizzazione.

Facciamo un esempio pratico. Dopo aver eseguito la panca piana per il pettorale potremmo utilizzare i cavi incrociati per “chiudere” il pettorale e lasciarlo in massima contrazione per 30 secondi.

Per le spalle dopo il lento o le spinte con manubri potremmo ottenere il blocco tenendo i deltoidi in contrazione a croce ai cavi alti.

Per i quadricipiti dopo lo squat, leg extension in massima contrazione.

Questi sono alcuni esempi. Qualcuno potrebbe parlare di Peak contraction ovvero contrazione di picco o isometrica, in realtà si tratta di spremere/comprimere letteralmente il muscolo interessato, componente che manca se eseguissimo una contrazione di picco.

Anche l’assonanza con lo stetch contrastato non è corretta. Nello Stretch contrastato, una volta raggiunto il cedimento muscolare, si mantiene una contrazione isometrica del muscolo coinvolto in massimo allungamento per diversi secondi. Nella tecnica del blocco circolatorio non si ha il massimo allungamento, bensì la massima contrazione del muscolo.

La tecnica può essere accostata al cosiddetto posing & cramping, ovvero posare al pari di un bodybuilder professionista dopo una serie e contrarre volontariamente il muscolo target. La tecnica del blocco circolatorio è comunque differente in quanto prevede un sovraccarico rispetto alla semplice contrazione volontaria.

Spesso la tecnica viene eseguita durante gli allenamenti di tipo FST-7: Fascial Stretch Training
La ricerca

La tecnica del Blocco circolatorio è stata ampiamente analizzata da svariate ricerche. Di per sé, l’aumento delle concentrazioni di lattato indotte dal mantenimento della contrazione muscolare, potrebbero essere un importante fattore stimolante l’ipertrofia, in quanto solitamente si presenta come una delle strategie per esaltare questo adattamento fisiologico. È stato ormai stabilito da tempo che i livelli di lattato sono proporzionali all’incremento dei livelli di GH


       La Contrazione di picco : Peak contraction

                   


La contrazione di picco o Peak contraction è una tecnica speciale applicata nell’allenamento di resistenza (Resistance training), in particolare nel body building e fitness.

La contrazione di picco o Peak contraction è una tecnica applicata tre le ripetizioni di una serie, in cui viene enfatizzata la fase di massima contrazione del muscolo interessato. In altre parole si tratta di eseguire una sosta rimanendo in una contrazione isometrica per alcuni secondi (2 o 3) nella fase di massimo accorciamento di una ripetizione.

Sebbene venga normalmente intesa come una sosta applicabile ad ogni ripetizione di una serie, altre volte potrebbe essere introdotta solo al termine dell’ultima ripetizione di una serie dopo l’insorgere del cedimento muscolare.

Per una più efficace applicazione del metodo, le macchine isotoniche o i cavi sono solitamente più adatti a questo scopo, in quanto la tensione muscolare in massima contrazione non viene persa come succede nel caso dei pesi liberi. Con queste attrezzature infatti la tensione rimane costante e quasi invariata durante tutto il range di movimento (ROM, range of motion), quindi durante la fase di picco la tensione non viene persa.

Può essere il caso del curl per bicipiti, durante il quale, quando l’avambraccio raggiunge una posizione verticale viene notevolmente persa la tensione da parte dei flessori del gomito. Nel curl al cavo basso invece, la tensione rimane costante anche in fase di massima contrazione, permettendo che il Peak contraction possa essere sfruttato con più efficacia. Analogo discorso può essere esteso alle croci con manubri o le croci ai cavi; nel secondo caso la tecnica è più facilmente applicabile.

Anche su altri esercizi come le distensioni con bilanciere o manubri, il Peak contraction non riesce ad essere applicato efficacemente in quanto il punto di massima contrazione muscolare del gran pettorale (braccio verticale) coincide con la massima perdita di tensione muscolare, diventando una sorta di riposo tra le ripetizioni.

Esistono però casi in cui, anche esercizi che dipendono dalla gravità permettono di applicare questa tecnica in quanto il punto di difficoltà, cioè la fase del ROM in cui la tensione dipendente dalla gravità è maggiore, coincide con la fase di massima contrazione del muscolo bersaglio.

Ad esempio il rematore con bilanciere o con manubri, dove la tensione viene massimizzata in massima contrazione, oppure la French press su panca 45°, o le alzate laterali o le Reverse fly con manubri.

Il Peak contraction può essere comunque applicato anche riducendo il ROM di un esercizio ai pesi liberi, evitando che il segmento in movimento raggiunga una posizione verticale o vicina a tale posizione, in modo che la tensione non vada troppo ridotta, e mantenedo la contrazione per qualche secondo.

In questi casi Peak contraction quindi coinciderebbe con un punto a metà del ROM.

In un curl su panca Scott con bilanciere, il Peak contraction potrebbe essere applicato fermando l’avambraccio a circa 45° di inclinazione, quando la tensione sui flessori del gomito è ancora significativa, e mantenendo la contrazione per qualche secondo nonostante i flessori stessi non raggiungano propriamente un livello di massima contrazione.

Ad ogni modo in questi casi non potrebbe essere considerata a tutti gli effetti una massima contrazione, in quanto il Peak contraction sarebbe per definizione il punto in cui le fibre muscolari coinvolte raggiungono una contrazione o un accorciamento ad un livello massimo, un punto che in molti esercizi ai pesi liberi viene evitato.

La tecnica del Peak contraction influisce sulla velocità del movimento delle ripetizioni e quindi sulla durata della serie (Time Under Tension, TUT), in quanto enfatizza o prolunga la sosta in fase di massima contrazione.

Lo Speed of movement è quel parametro che identifica la velocità nelle diverse fasi di una ripetizione, cioè fase eccentrica, sosta isometrica in allungamento, fase concentrica, soste isometrica in contrazione.

Lo Speed of movement viene identificato con un numero a 4 cifre, le quali corrispondono alle rispettive fasi descritte.

Ad esempio una cifra che prevede la sequenza “4-X-2-3″, significa che la fase eccentrica dura 4 secondi, la sosta in fase di allungamento non viene enfatizzata, la fase concentrica dura 2 secondi, mentre la sosta isometrica in fase di contrazione, cioè il Peak contraction, dura 3 secondi.

Il Peak contraction quindi è relazionato con la 4ª cifra nella formula dello Speed of movement.

                 Il sistema piramidale



Il Sistema piramidale o Piramidale (dall’inglese Pyramid system o Pyramid), è una tecnica applicata nell’allenamento con sovraccarichi, ovvero in discipline come body building, powerlifting, weightlifting e fitness.
Definizione di Sistema Piramidale

Il Sistema piramidale è una delle più note metodiche applicate nell’esercizio con i pesi, coinvolgendo più serie di un esercizio. Sebbene venga identificato in svariate maniere a seconda degli autori, esistono diverse varianti del metodo, e il punto comune tra tutti è il cambio del carico con il progredire delle serie in maniera crescente o decrescente.

Esistono essenzialmente quattro varianti del Metodo piramidale : le Mezze piramidi consistono nel variare il peso progressivamente solo in maniera crescente (Light to heavy) o decrescente (Heavy to light) durante le serie previste, mentre le piramidi doppie o con ritorno (da alcuni riconosciute come le Piramidi classiche) prevedono che i sistemi crescente e decrescente vengano uniti tra loro consecutivamente.

Partendo ad esempio da carichi bassi si arriva a sollevare il massimo del carico durante la progressione delle serie, per poi tornare progressivamente verso il peso iniziale. Il processo può essere svolto anche in maniera inversa Light to heavy/Heavy to light oppure Heavy to light/Light to heavy.
Mezze piramidi
Piramide crescente o ascendente: Light to heavy

La Piramide crescente o ascendente o ascendente è più comunemente conosciuta come Light to heavy (da leggero a pesante), e venne in passato riconosciuta come Sistema DeLorme per via del ricercatore a capo dell’equipe che per prima la testò in alcuni studi alla fine degli anni quaranta.

Essa rappresenta la versione classica del Sistema piramidale, in cui la prima serie parte con carichi relativamente leggeri, e il peso viene incrementato progressivamente ad ogni serie successiva . Col progredire delle serie e l’incremento graduale del carico, viene imposto di conseguenza lo svolgimento di meno ripetizioni. In altre parole, il carico viene aumentato ad ogni serie, e le ripetizioni vengono diminuite. Il sistema permette di passare da carichi leggeri a pesanti, e viene spesso usato per sviluppare la forza.

Il sistema DeLorme divenne popolare negli anni cinquanta e sessanta quando l’equipe di DeLorme et al. (1948) riportarono un significativo incremento della forza durante un programma di allenamento a breve termine in cui venivano svolte 3 serie da 10 ripetizioni applicando questo metodo. Nell’originale Sistema DeLorme, il carico utilizzato nella prima serie era pari al 50% dei 10 RM dell’atleta, del 66% dei 10 RM nella seconda serie, e del 100% dei 10 RM nella terza serie. 10 RM, ovvero 10 Ripetizioni massime (Repetition maximum), significa che il carico scelto deve permettere all’atleta di eseguire non più di 10 ripetizioni, che equivalgono circa al 75% di 1 RM. Ad ogni modo possono essere applicate delle variabili a queste percentuali.

Anche se l’originale sistema di DeLorme prevedeva intensità, percentuali e numero di serie e ripetizioni definite, la Piramide crescente assume tratti più generici, dove il concetto essenziale è quello del progressivo aumento del carico.
Piramide decrescente o discendente: Heavy to light

Il Piramide decrescente o discendente, meglio nota come Heavy to light (da pesante a leggero), venne in origine nominata come Oxford system. Questa prevede la procedura inversa rispetto al Sistema DeLorme. La prima serie inizia con carichi pesanti, mentre segue una riduzione progressiva con l’avanzare delle serie successive. Come il Sistema DeLorme, anche l’Oxford divenne popolare tra gli anni cinquanta e sessanta, e diversi studi riportarono un incremento della forza applicando tale tecnica. Il carico utilizzato nel Sistema Oxford è il medesimo del Sistema DeLorme: il carico è pari al 100% del 10 RM dell’atleta nella prima serie, del 66% del 10 RM nella seconda serie, e del 50% di 10 RM nella terza serie. Anche in questo caso le percentuali possono essere variate dal momento che ciò che caratterizza la Piramide decrescente è il semplice concetto di riduzione progressiva del carico.
Piramide doppia o con ritorno

La Piramide doppia o con ritorno (da alcuni definito come il vero Piramidale) combina tra loro i sistemi Light to heavy e Heavy to light in un unico gruppo di serie di un esercizio. Anche questa variante viene usata nel powerlifting, weightlifting e bodybuilding. Il sistema consiste nel partire con la prima serie da carichi leggeri seguendo lo schema Light to heavy, e, una volta raggiunto il massimo carico e le minime ripetizioni, i carichi vengono nuovamente ridotti progressivamente seguendo il modello Heavy to light.

Esiste anche la Piramide doppia inversa, in cui l’atleta inizia dallo schema Heavy to light nelle prime serie, passando al Light to heavy. Un primo studio sul Sistema piramidale doppio indicò una certa efficacia nel aumentare la massa delle gambe e del tronco, così come la forza in trazione ed estensione. Tuttavia nella letteratura recente questo sistema è stato maggiormente criticato. Alcuni testi sostengono che in realtà sia questa la reale definizione del Sistema piramidale, e che i sistemi Light to heavy e Heavy to light siano in realtà da considerare come Mezze piramidi (Half pyramid). Effettivamente i sistemi Light to heavy e Heavy to light (rispettivamente DeLorme e Oxford system) nacquero negli anni cinquanta e non erano in origine denominati come Piramidi, mentre il Sistema piramidale, inteso come aumento e decremento dei carichi, venne testato e riconosciuto come tale negli anni sessanta da Leighton.
Piramide tronca

Esiste poi un ulteriore sotto classificazione meno diffusa, chiamata Piramide tronca o spezzata. Essa si struttura dall’utilizzo di carichi e intensità solamente basse o intermedie. Ciò significa che questa Piramide non prevede di arrivare ad intensità massimali tipiche dello sviluppo della forza massima, e correlate ad un numero basso di ripetizioni, ma si mantiene entro range di intensità più contenuti, e quindi a ripetizioni maggiori.

In realtà la Piramide tronca così come viene definita coincide con la versione originale ideata negli anni cinquanta, cioè con il DeLorme e Oxford system, dove il numero di serie erano tre, e il numero di ripetizioni arrivava al massimo a 10 (connesse con un’intensità relativa del 75% 1 RM e inferiori). Solo in seguito è stata rielaborata prevedendo intensità massimali (2-4 RM), oltre che più serie. Questa variante può essere più facilmente adatta ad atleti principianti, oltre che utile nel bodybuilding più che nel weightlifting o powerlifting, in quanto non raggiunge intensità utili per lo sviluppo della forza massima.
Piramide a base larga e a base stretta

Il Metodo piramidale viene ulteriormente distinto nelle varianti a base larga o a base stretta. Queste fanno riferimento all’intensità relativa minima e alle ripetizioni massime raggiunte nel gruppo di serie. Ad esempio una Piramide a base stretta Light to heavy, prevede che i carichi inferiori, in questo caso utilizzati nella prima serie, siano correlati all’alta intensità (80/85-100% 1RM).

Si potrebbe partire da 6 RM nella prima serie, per poi arrivare a 1 o 2 RM nell’ultima serie (85-95/100% 1RM). Una Piramide a base larga Light to heavy invece prevede che i carichi inferiori, cioè quelli usati nella prima serie, siano correlati alla bassa o media intensità (60-75% 1RM). Si potrebbe quindi partire da 15 RM (65% 1RM) nella prima serie e arrivare a 8 RM (80% 1RM) nell’ultima serie (Piramide tronca), oppure terminare con alte intensità (4-6 RM = 85-90% 1RM)).

Naturalmente la base larga o la base stretta possono essere applicati anche nel sistema Heavy to light. In termini semplici, la Piramide a base stretta lavora esclusivamente nei range di intensità, quindi di carichi e di ripetizioni, tipiche degli allenamenti per lo sviluppo della forza massima. Proprio per questo può essere più comunemente utilizzata nel powerlifting e nel weightlifting.

La Piramide a base larga invece lavora nel range di intensità adatto per lo sviluppo dell’ipertrofia e della resistenza muscolare se impostata come piramide tronca, ma può toccare anche le alte intensità tipiche della forza massima. In quest’ultimo caso il numero complessivo di serie tende ad aumentare. Questa variante, soprattutto in forma di Piramide tronca, viene maggiormente applicata da parte dei bodybuilder o degli entusiasti del fitness.
Critiche

Il Sistema piramidale è stato molto criticato da parte della letteratura scientifica e da diversi autori. Grainer e Paoli osservano che la tecnica presenti alcuni problemi nell’applicazione, soprattutto da parte degli atleti avanzati. Uno dei principali punti che possono essere messi in discussione riguarda il fatto che anche nelle tradizionali serie multiple in cui il carico rimane invariato il numero di ripetizioni eseguibili cala inevitabilmente. Infatti eseguire una serie a cedimento provoca uno stato di affaticamento muscolare e nervoso tale da rendere impossibile l’esecuzione della serie successiva mantenendo invariato il numero di ripetizioni con lo stesso carico, se questo avviene con tempi di recupero incompleti.

Ciò succede soprattutto ad atleti più esperti, abituati a lavorare alla massima intensità e portare la serie al cedimento muscolare. Si osserva che un protocollo Piramidale (crescente) che prevede una riduzione progressiva delle ripetizioni potrebbe essere praticato anche senza incremento del carico, poiché già in partenza l’affaticamento imporrebbe una prestazione inferiore dalla seconda serie con una conseguente riduzione delle ripetizioni. Se l’atleta riesce a dare il massimo ad ogni serie, il decremento della soglia di cedimento ha luogo comunque anche se viene mantenuto lo stesso peso. In altri termini, il Piramidale non permette di eseguire le ripetizioni corrispondenti alla percentuale di carico stabilita o alle ripetizioni massime (RM) stabilite (specie della Piramide crescente) già dalla seconda serie, imponendo il cedimento prima di quanto previsto.

In realtà per questo scopo giocano un ruolo fondamentale anche i tempi di recupero. Infatti è stato dimostrato che, quando il tempo di recupero è di almeno 3 minuti, può essere mantenuta un’esecuzione di 10 RM (ripetizioni massime) per 3 serie, quindi la prestazione non subisce un decremento, almeno a breve termine. Tuttavia questi lunghi tempi di recupero vengono impiegati negli allenamenti con carichi ad alta intensità per sviluppare la forza massimale (>80-85% 1 RM).

Quando invece viene impostato solo 1 minuto di recupero tra le serie, l’andamento delle ripetizioni massime cala progressivamente da 10, 8 e 7 RM in 3 serie consecutive. Uno o due minuti tra le serie sono i tempi di recupero più indicati per i protocolli di allenamento adatti allo sviluppo dell’ipertrofia muscolare o l’endurance muscolare, e vengono applicati nel caso di carichi a media o bassa intensità (<80% 1RM).

Si potrebbe quindi concludere che un Sistema piramidale riuscirebbe ad essere svolto come viene teorizzato, solo se non insorge e non interferisce il fenomeno della fatica, quindi solo quando i tempi di recupero trovano una durata di almeno 3 minuti. Tale durata è però incompatibile con i programmi di ipertrofia legati ad intensità relative al 80% di 1RM o inferiori (cioè da 8 o più RM), dove vengono indicati meno di 3 minuti di recupero, solitamente tra i 60 e i 90 secondi. Come menzionato, nel bodybuilding i tempi di recupero indicati per l’ipertrofia sono molto più ridotti di quelli necessari per poter mantenere la performance invariata, per questo gli atleti non riuscirebbero ad applicare la tecnica come teoricamente concepita.

Se il Piramidale può rivelarsi meno adatto per gli atleti esperti, alcuni osservano che esso può essere utile per i principianti al fine di abituarli all’incremento del carico e dell’intensità. I principianti difficilmente portano le serie al cedimento, tendendo semplicemente a completare il numero di ripetizioni previste sulla scheda di allenamento.

In questo caso il Piramidale sarebbe una strategia utile per abituare l’atleta a raggiungere il pieno esaurimento muscolare e ad abituarsi a lavorare ad intensità e carichi elevati. Altrimenti può essere utile nel caso l’atleta avanzato voglia organizzare un ciclo di defaticamento ad intensità ridotte. Un’altra necessaria segnalazione è che le piramidi non riuscirebbero ad essere praticate come concepite solo se viene previsto il cedimento muscolare e le ripetizioni massime (RM) per un dato carico.

Tuttavia, i programmi di allenamento coi i pesi non necessariamente e non sempre impongono di raggiungere il cedimento muscolare concentrico, quindi le tecniche in questione potrebbero essere effettivamente praticate come descritte se questo punto non viene raggiunto. Alcune evidenze scientifiche riconoscono che anche il cedimento muscolare debba essere soggetto a periodizzazione, per tanto nei cicli periodizzati in cui esso non viene raggiunto è possibile concludere che le piramidi possano essere svolte almeno in parte con successo.
La ricerca

La ricerca scientifica ha da tempo approfondito gli effetti del Sistema piramidale, sebbene i diversi studi possano applicare dei protocolli largamente diversi tra loro (crescente, decrescente, doppio, base larga, base stretta, varie intensità ecc). In origine fu il già citato DeLorme a scoprirne i benefici (DeLorme et al., 1948) riportando un significativo incremento della forza durante un programma di allenamento a breve termine.

Il sistema di DeLorme però era una Piramide crescente che consisteva in 3 serie da 10 ripetizioni, in cui il carico utilizzato nella prima serie era pari al 50% dei 10 RM dell’atleta, del 66% dei 10 RM nella seconda serie, e del 100% dei 10 RM nella terza serie. In contemporanea, Zinovieff (1951) e McMorris e Elkins (1952) rilevarono che anche la Piramide organizzata in maniera inversa (decrescente), applicando gli stessi carichi di lavoro, permetteva di ottenere gli stessi benefici.

Alcuni anni dopo Leighton et al. (1967) confermarono questi risultati applicando la Piramide doppia, indicandone una certa efficacia nel aumentare la massa delle gambe e del tronco, così come la forza in trazione ed estensione. Svariati anni più tardi, Fish et al. (2003), comparando le tecniche DeLorme e Oxford sul leg extension, riscontrarono che la DeLorme produceva guadagni della forza superiori in media di quasi 5 kg (10 libbre) rispetto al Sistema Oxford,anche se le differenze non furono giudicate significative.

Più di recente, Nunes et al. (2011) hanno analizzato la risposta immunologica di diversi schemi di allenamento di resistenza, tra cui il Piramidale decrescente ad alta intensità (5-4-3-2-1 RM con 3 minuti di recupero), e dai risultati ottenuti, è emerso che tale risposta non differisce tra questo metodo e il classico protocollo a serie multiple. Paoli et al. (2011) confrontarono il Sistema piramidale con il Rest pause.

Venne osservato che il Piramidale presenta una maggiore componente lattacida rispetto al Rest pause, ma quest’ultima tecnica mostrava maggiori indici di danno muscolare (CK ematica). Altre due ricerche (Charro et al., 2010, Charro et al., 2012) hanno voluto esaminare le differenze tra le risposte ormonali e metaboliche del Piramidale crescente (67%-1RM, 74%-1RM e 80%-1RM) comparandolo con lo schema tradizionale a serie multiple.

I due metodi sono risultati in simili risposte di GH, cortisolo e lattato, senza lasciar intendere la superiorità del Piramidale. Anche se le prime ricerche datate sul Sistema piramidale rilevavano un generale incremento della forza, pare non sia stata mai dimostrata un’eventuale superiorità di tale metodo, né se confrontata con l’esercizio tradizionale a normali serie multiple, né con diverse tecniche speciali.

Ulteriori studi attuali in cui questo metodo è stato paragonato ad altri sistemi, mettono fortemente in discussione la sua superiorità anche solo sulle strategie tradizionali, a parità di volume, intensità e carico utilizzato.

 

                    Il cedimento muscolare


Il cedimento muscolare è una tecnica utilizzata per l’incremento della massa muscolare. Come ogni tecnica spesso è abusata. Non è sempre una buona idea cercare l’esaurimento muscolare, il concetto d’intensità non ha nulla a che fare con il cedimento muscolare, e quando si è alla ricerca di un adattamento neuro muscolare, ovvero se stiamo impostando il nostro allenamento per una base di forza, non c’è niente di meglio che evitare il cedimento muscolare nelle singole sessioni, abbiamo visto infatti che un Powerlifter (PL) dovrà sempre stare attento a non bruciarsi il proprio snc (sistema nervoso centrale), perché significherebbe sacrificare tutto il lavoro svolto e mandare a rotoli tutta la fatica fatta sotto i pesi. Quindi senza dilungarmi troppo, il cedimento nell’allenamento di un powerlifter o comunque in un allenamento dedicato allo sviluppo della forza non dovrebbe mai essere ricercato, soprattutto in esercizi come stacchi e squat che richiedono un grandissimo impegno neuro muscolare.

Per cedimento muscolare, concetto chiamato anche esaurimento, sfinimento muscolare, ripetizioni a cedimento, ripetizioni alla massima fatica, e noto in inglese come muscular failure, training to failure o repetitions to failure, si intende il punto in cui, durante una serie prevista nell’esercizio con sovraccarichi (bodybuilding, weightlifting,powerlifting, fitness) si raggiunge l’incapacità di continuare ad eseguire ulteriori ripetizioni imponendo di norma l’interruzione dell’attività muscolare.

Il cedimento muscolare è stato interpretato da alcune scuole di bodybuilding come l’indicatore del parametro intensità, secondo cui svolgere una serie raggiungendo questa soglia significherebbe allenarsi a maggiore intensità rispetto a svolgere la stessa serie con lo stesso carico senza raggiungerla (quindi svolgendo in proporzione meno ripetizioni o eseguire uno sforzo più breve). Questa interpretazione però contrasta con la definizione scientifica dell’intensità, che viene determinata dal carico specifico o dalla percentuale di carico (% 1-Repetition maximum).
Caratteristiche

Il cedimento muscolare si presenta quando, durante l’esecuzione di una serie, l’atleta non riesce più a portare a termine la fase concentrica delle ripetizioni durante tutto l’arco del movimento previsto (Range of motion, ROM). Il cedimento muscolare indica il punto in cui le fibre muscolari raggiungono l’arresto, chiamato ischemic rigor (rigidità ischemica), in cui letteralmente si bloccano e si irrigidiscono a causa dell’esaurimento dell’adenosina trifosfato (ATP). Il cedimento muscolare è sempre stato un tema abbastanza discusso nell’ambito della programmazione di un allenamento coi pesi. Mentre i bodybuilder spesso tendono a portare a cedimento ogni serie, lo stesso ad esempio non si può dire per i powerlifter.

Molti culturisti applicano regolarmente il principio del cedimento muscolare, o comunque si impongono di arrivare quasi a tale soglia. Infatti il concetto di allenarsi utilizzando il valore dell’ intensità, o percentuale di 1-Repetition Maximum (% 1 RM) per pianificare il regime di allenamento tende a promuovere questa pratica. Effettivamente, il parametro intensità nel bodybuilding viene particolarmente valorizzato, in quanto una delle principali misure da considerare per impostare un programma di allenamento. L’intensità relativa, cioè la percentuale di carico più adatta, ad esempio, per un programma di ipertrofia, è connessa con un determinato range di ripetizioni che viene stabilito proprio in base al punto in cui viene raggiunto il cedimento muscolare.

Se ad esempio un allenamento o un esercizio vuole essere svolto ad un’intensità del 80% di 1RM, ciò significa che deve essere scelto un carico che permette di eseguire 8 ripetizioni massime (cioè a cedimento). Se non si raggiungesse il cedimento muscolare con un determinato carico, non si potrebbe risalire al preciso valore di intensità relativa che si vuole stabilire per poter indurre un certo stimolo muscolare. Tuttavia questo non vieta che, se viene scelto un carico relativo al 80% di 1RM (che per definizione permette non più di 8 ripetizioni massime), non se ne possano eseguire volontariamente meno di quelle che si potrebbero portare a termine, evitando quindi di raggiungere il cedimento.

Molti professionisti e bodybuilder prendono posizioni molto rigide su questo aspetto, a volte a tal punto da sostenere che se tale soglia non viene raggiunta, la serie sarebbe giudicata come un riscaldamento. Ed alcune teorie di allenamento culturistico, prima tra tutte l’High Intensity Training (HIT) di Arthur Jones e Mike Mentzer, propongono di raggiungere sempre questo limite. Tuttavia, la validità di questo concetto può essere messa in discussione a livello scientifico, in quanto la ricerca ha stabilito che il cedimento non sia una strategia sempre valida. Al contrario, alcuni studi segnalano che la sua applicazione cronica possa facilmente portare al sovrallenamento, penalizzando il profilo ormonale anabolico, e i guadagni della forza e dell’ipertrofia muscolare.

Il cedimento muscolare nell’esercizio con sovraccarichi è il punto in cui, durante la prestazione fisica, il sistema neuromuscolare non può più produrre forza sufficiente a superare un carico di lavoro specifico. La serie dell’esercizio deve essere terminata, mentre segue un breve periodo di recupero (in genere tra 1 e 3 minuti), durante il quale il substrato energetico più rapido e immediato, ovvero l’adenosina trifosfato (ATP), ha modo di essere risintetizzato nei muscoli.

Durante questo tempo di recupero dei sottoprodotti metabolici (ad esempio, ioni idrogeno, lattato, fosfati inorganici, creatina, potassio) creati all’interno e all’esterno dei tessuti delle fibre muscolari vengono rimossi o ripristinati. È importante notare che le fibre muscolari coinvolte non sono interamente affaticate a questo punto, ma semplicemente non possono produrre forza sufficiente per superare il carico specifico. Tecnicamente si potrebbe alleggerire la resistenza in modo che i muscoli siano in grado di continuare il lavoro per un certo periodo mediante alcune tecniche speciali, come lo stripping, il super set, il rest pause, o le ripetizioni forzate.
La teoria

La teoria del cedimento muscolare si basa sul reclutamento delle unità motorie (i nervi e le fibre muscolari innervate da quel nervo). Nella fisiologia neuromuscolare è risaputo che il modello di reclutamento delle unità motorie si basa principalmente sulla forza richiesta dal muscolo. Per comprendere più nel dettaglio tale meccanismo, è necessario conoscere le caratteristiche generali delle principali tipologie di fibre muscolari.

    Fibra di tipo I: a contrazione lenta, alta capacità ossidativa (alta densità di mitocondri, organelli cellulari che sintetizzano ATP attraverso la respirazione cellulare), bassa capacità glicolitica (cioè di ricavare energia dal glucosio e glicogeno), velocità di contrazione lenta, elevata resistenza alla fatica, unità motoria più debole;
    Fibra di tipo IIa: a contrazione rapida, capacità ossidativa moderatamente elevata, elevata capacità glicolitica, alta velocità contrattile, moderata resistenza alla fatica, ad alta resistenza dell’unità motoria;
    Fibra di tipo IIb o di tipo IIx: a contrazione rapida, bassa capacità ossidativa, alta capacità glicolitica, velocità contrattile molto elevata, bassa resistenza alla fatica, più forte unità motoria;

In generale, nelle prestazioni a bassa intensità, sono principalmente coinvolte le fibre muscolari di tipo I. Come la richiesta di forza aumenta, vengono reclutate in aggiunta le fibre di tipo IIa (indicate anche come glicolitiche). Una richiesta di forza ancora maggiore fa affidamento sul reclutamento ulteriore delle fibre più forti del corpo, ovvero quelle di tipo IIb o fibre di tipo IIx (la “x” segnala che esistono diverse varianti di questo tipo di fibra). Pertanto, se la forza muscolare è l’obiettivo primario, si ritiene che il grado di attivazione delle unità motorie sia direttamente correlato all’ampiezza della risposta dell’allenamento della forza.
La ricerca

È degno di nota che il concetto di cedimento muscolare, profondamente radicato dalle origini dell’allenamento coi pesi, non è stato concretamente basato sui risultati della ricerca scientifica. Stowers et al. (1983) rilevarono che una monoserie a cedimento favorisse un aumento della prestazione nello squat, ma tre serie da 10 ripetizioni, di cui due a cedimento, causarono maggiori aumenti nell’abilità di esecuzione dell’esercizio . In una importante e recente review, Willardson (2007) osserva tuttavia che alcune ricerche risultano abbastanza fuorvianti su questo argomento.

Una nota ricerca sulla questione venne completata nel 1994 da Rooney, Herbert e Balnave. In questa indagine, gli incrementi della forza prodotti da un protocollo di allenamento in cui i soggetti riposavano per un certo numero di secondi tra le ripetizioni sono stati confrontati con quelli prodotti quando i soggetti non si riposavano tra le ripetizioni (cioè nel modo in cui gli esercizi sono comunemente eseguiti).

Quarantadue soggetti di sesso maschile sono stati suddivisi in modo casuale in 3 gruppi: un gruppo senza riposo, un gruppo con riposo tra le ripeizioni, e un gruppo di controllo (che non si allenava). I soggetti nei due gruppi eseguirono un allenamento dei muscoli flessori del gomito sollevando un peso che permetteva 6 RM per 6-10 serie per 3 giorni alla settimana per 6 settimane. I soggetti del gruppo senza riposo eseguivano ripetizioni consecutive senza alcuna sosta, mentre i soggetti del gruppo con riposo lasciavano passare 30 secondi tra ogni ripetizione. I soggetti che si allenavano senza pause presentarono incrementi medi significativamente maggiori nella forza dinamica (56,3%) rispetto ai soggetti che si allenavano con pause (+41,2%). Così i migliori aumenti della forza a breve termine sono stati ottenuti quando i soggetti svolgevano delle ripetizioni continuate, come avviene comunemente in un normale allenamento coi pesi.

Kreamer et al. (1997) esaminarono gli effetti di un’unica serie di esercizio con i pesi a cedimento con 2 protocolli a serie multiple non a cedimento su una ripetizione massimale (1-RM) allo squat parallelo. Quarantatre uomini sono stati assegnati in modo casuale ai protocolli coi pesi da 1 di 3 allenamenti che enfatizzano lo sviluppo della forza delle gambe e delle anche:

    protocollo SS: 1 x 8-12 ripetizioni a cedimento;
    protocollo MS: 3 x 10 ripetizioni;
    protocollo MSV: protocollo a serie multiple utilizzando serie e ripetizioni variate;

L’intensità relativa (% iniziale di 1-RM), l’intensità (carico medio sollevato), e il volume di carico (carico x ripetizioni) differiva tra i due gruppi da quanto misurato dopo le 14 settimane. La massa corporea, la composizione corporea, e la ripetizione massimale sullo squat parallelo sono stati valutati prima del programma e alle settimane 5 e 14. I risultati non hanno mostrato variazioni significative di massa corporea o composizione corporea. L’1 RM è aumentato significativamente in tutti i gruppi. Le differenze di 1-RM tra i gruppi indicano che i protocolli MS e MSV hanno presentato un aumento maggiore di circa il 50% rispetto al protocollo SS dopo le 14 settimane. I risultati suggerirono che le serie multiple non eseguite a cedimento producono guadagni superiori nell’alzata massimale sullo squat.

Folland et al. (2002) paragonarono due tipi di allenamento, uno della durata di 7 minuti applicando il cedimento muscolare, e l’altro della durata di 25 minuti senza raggiungere il cedimento. I ricercatori non osservarono differenze tra i due protocolli in termini di sviluppo della forza. Ciò suggerische che gli stessi guadagni della forza potrebbero essere ottenuti approssimativamente con il 30% in meno nella durata dell’allenamento applicando il cedimento muscolare.

Drinkwater et al. (2005) completarono una ricerca su 26 giovani atleti professionisti maschi, suddivisi in giocatori di pallacanestro e giocatori di calcio. Tutti questi atleti erano stati sottoposti ad un programma coi pesi negli ultimi 6 mesi. I soggetti completarono un allenamento su panca piana per 3 sedute a settimana per 6 settimane, utilizzando uguali programmi in termini di volume (24 ripetizioni x 80-105% 6RM). I soggetti sono stati assegnati ad uno dei due gruppi sperimentali: il primo gruppo raggiungeva il cedimento muscolare con 4 serie da 6 ripetizioni; il secondo gruppo completava 8 serie da 3 ripetizioni non a cedimento. Il gruppo che si allenava a cedimento dimostrato un sostanziale aumento della forza (+9,5%) e della potenza (+10,6%) rispetto al gruppo non a cedimento.

In un recente studio, Izquierdo et al. (2006) hanno esaminato le risposte ormonali in un programma coi pesi di 11 settimane suddiviso in un gruppo a cedimento, e uno a non-cedimento (secondo gruppo), seguito da un identico protocollo di forza e potenza della durata di 5 settimane assegnato ad entrambi i gruppi. I soggetti erano 42 maschi fisicamente attivi suddivisi a caso nei due gruppi. I risultati hanno dimostrato che 11 settimane di allenamento a cedimento e non a cedimento hanno portato vantaggi in termini simili di forza massimale (1RM), potenza muscolare del braccio e muscoli estensori delle gambe, e il numero massimo di ripetizioni nello squat.

Tuttavia, dopo un identico periodo di 5 settimane eseguendo un programma di allenamento per la forza massima e potenza, il gruppo non a cedimento ha mostrato maggiori aumenti della forza, potenza, livelli di testosterone, e ridotti livelli cortisolo rispetto al gruppo a cedimento. Il gruppo a cedimento ha presentato un maggiore aumento della resistenza muscolare nelle ripetizioni su panca e una diminuzione dei livelli di IGF-1, un ormone anabolico.
Conclusioni

Tramite una review, Willardson nel 2007 cercò di fare chiarezza sul concetto del cedimento muscolare valutando le poche ricerche che erano state affrontate fino a quel momento. La ricerca ha chiaramente dimostrato la superiorità di eseguire più serie (serie multiple) contro le serie singole per sviluppare il miglioramento della forza massimale. Tuttavia, Willardson notò che c’erano poche prove dirette per stabilire definitivamente se le serie multiple dovessero essere eseguite fino al cedimento.

Anche se non è risultato essenziale per l’aumento della forza e dell’ipertrofia, l’allenamento a cedimento potrebbe consentire agli atleti avanzati di superare lo stallo dell’allenamento se incorporato periodicamente nei microcicli a breve termine. Poiché l’ipertrofia muscolare è un fattore chiave per l’aumento a lungo termine della forza massimale, gli atleti avanzati dovrebbero prendere in considerazione l’allenamento a cedimento applicandolo occasionalmente. I possibili meccanismi attraverso cui l’allenamento a cedimento potrebbe fornire un vantaggio è attraverso una maggiore attivazione delle unità motorie e una maggiore secrezione degli ormoni anabolici sul tessuto muscolare (GH, testosterone).

Willardson ha suggerito che raggiungere il cedimento muscolare può garantire un maggiore stimolo e reclutamento delle fibre di tipo II a contrazione rapida, che sono in grado di produrre i maggiori aumenti di forza e ipertrofia. Tuttavia, l’allenamento a cedimento non rappresenta uno stimolo efficace se non vengono impiegate intensità sufficienti (% 1 RM). Inoltre, l’esercizio a cedimento non deve essere eseguito più volte per lunghi periodi, a causa dell’elevato potenziale di sovrallenamento e lesioni da uso eccessivo. Pertanto, lo stato di allenamento e gli obiettivi dell’atleta dovrebbero guidare il processo decisionale in materia.

Willardson cita anche tre studi che mostrano che l’uso eccessivo del cedimento può causare una diminuzione degli ormoni anabolici. A seconda dell’atleta, si suggerisce di alternare le serie a cedimento in allenamenti consecutivi, o anche a settimane alterne. Secondo Willardson l’allenamento a cedimento deve essere variato, così come tutte le variabili acute nell’allenamento coi pesi (ad esempio, il numero di ripetizioni, numero di serie, riposo tra le serie, ordine degli esercizi, la scelta di esercizi, ecc) subiscono una variazione nei programmi di periodizzazione.

Ancora più importante, Willardson suggerisce che l’atleta deve arrestare la serie quando la tecnica è compromessa (ad esempio, cattiva postura, spostamenti del corpo, movimenti di compenso, ecc) per continuare a sollevare il peso. Inoltre, per i soggetti più anziani o decondizionati, come quelli con artrite e/oosteoporosi, e molti soggetti che praticano l’esercizio coi pesi ai fini ricreativi, lo scopo dell’allenamento può essere molto più utile quando l’obiettivo è un miglioramento della funzionalità e della stabilità, e questo approccio non richiede affatto l’applicazione del cedimento muscolare. Gli atleti e le persone che invece intendono massimizzare la forza e l’ipertrofia possono avere maggiore necessità di allenarsi più spesso al cedimento, al fine di raggiungere i propri obiettivi sul miglioramento della performance.

    «Il raggiungimento del cedimento durante le serie dell’esercizio con sovraccarichi è una pratica comune che può essere più utile per stimolare l’ipertrofia. Tuttavia, svolgere un allenamento a cedimento troppo frequentemente può risultare in una riduzione delle concentrazioni basali di testosterone e contribuire al manifestarsi della sindrome del sovrallenamento. La ricerca suggerisce che la maggiore efficacia viene ottenuta quando l’esercizio a cedimento viene praticato in maniera continua durante cicli di 6 settimane, intervallati da cicli esclusivamente non a cedimento della stessa durata. Gli allenatori dovrebbero considerare lo stato di allenamento degli atleti, gli obiettivi, e il punto in un ciclo di allenamento annuale per stabilire se le serie sono da eseguire a cedimento o se vadano terminate prima di raggiungere il cedimento.» (Willardson et al., 2010)

In definitiva la ricerca mostra chiaramente che i soggetti possono positivamente ottenere forza e potenza senza necessariamente andare sempre in contro allo sforzo fisico rigoroso e acuto associato alle contrazioni a cedimento. Sia per la sicurezza che per la periodizzazione, la ricerca suggerisce che l’allenamento a cedimento o non a cedimento sono variabili acute dell’allenamento coi pesi da manipolare regolarmente nella programmazione dei protocolli di allenamento.

 

           La tecnica del Super Slow


Il Super slow è una tecnica speciale applicata nell’allenamento con sovraccarichi (resistance training), in particolare nel body building e fitness.
Definizione di Super Slow

Il metodo di allenamento Super slow è stato presentato come un mezzo sicuro ed efficace per sviluppare forza e ipertrofia muscolare, sia da parte di neofiti che di atleti avanzati. Questa tecnica è stata scoperta nel 1982 dallo studioso Ken Hutchins nel corso di uno studio sull’osteoporosi su donne anziane, col fine di utilizzare una velocità più sicura per eseguire gli esercizi con sovraccarichi. Il risultato fu la nascita di una nuova tecnica di allenamento coi pesi.

Essa consiste nell’eseguire le ripetizioni a velocità molto bassa, il che incide in positivo sull’aumento di quei parametri dell’allenamento coi pesi legati al tempo quali il Time Under Tension (TUT), lo Speed of movement, e la densità, mentre causa la riduzione nei valori di altri parametri, primo fra tutti l’intensità, ma anche il volume.

Una rappresentazione standard della tecnica Super slow può essere eseguita su macchine isotoniche con 8-12 ripetizioni. Ogni ripetizione è composta da 2 secondi di fase concentrica, una pausa di un secondo nella sosta isometrica in contrazione, seguito da 4 secondi nella fase eccentrica (Speed of movement “4-X-2-1″). Il Time Under Tension della serie trova indicativamente una durata di 55-85 secondi.

Un protocollo Super slow può essere composto da 4-6 ripetizioni totali costituite da 10 secondi nella fase concentrica e quattro secondi fase eccentrica. Anche questo protocollo richiede circa 55-85 secondi per il completamento. Alcuni definiscono più precisamente la tecnica Super slow come caratterizzata da 10 secondi nella fase positiva e 10 in quella negativa, altri la identificano in una durata tra i 20 e i 60 secondi per ripetizione. A causa dei movimenti estremamente lenti, il metodo impone naturalmente una drastica riduzione dei carichi e dell’intensità a parità di ripetizioni massime (RM), andando a reclutare con maggior enfasi le fibre di durata (di tipo 1), cioè quelle più dotate della capacità di resistere alla fatica per maggiori periodi.

Più lento è il movimento, più è lungo il TUT complessivo, e più il carico e l’intensità relativa (% 1RM) dovranno essere ridotti. È possibile utilizzare un carico del 30-50% inferiore rispetto a quello normalmente adoperato e portare a termine tra le 5 e le 10 ripetizioni a serie. Ad esempio, se normalmente viene adoperato un carico del 75% 1RM (tale da permettere 10 RM, ripetizioni massime), con una riduzione del 30% si otterrebbe un carico di circa il 50% 1RM, che con una velocità di movimento normale permetterebbe ben oltre 20 RM, ma applicando la tecnica Super slow renderebbe difficoltoso il completamento 10 RM. La difficoltà varia appunto in base alla velocità di esecuzione della serie, oltre alle capacità individuale di resistenza alla fatica.

Un vantaggio del Super slow è quello di imporre un minore slancio, determinando l’applicazione della forza in maniera uniforme ed equamente distribuita durante l’arco del movimento. Per tale motivo essa può essere comunemente applicata sugli esercizi monoarticolari (o di isolamento), sulle macchine isotoniche o sui cavi, dove il movimento può essere più facilmente controllato lungo il range di movimento. Tra i benefici indotti dall’applicazione del Super slow, emerge un aumento della massa muscolare.

Una delle caratteristiche più interessanti è quella di rafforzare la connessione mente-muscolo, poiché il movimento lento obbliga a porre la massima concentrazione sulla contrazione muscolare. Per questo può essere prescritto al fine di sviluppare un maggiore controllo volontario del peso e un controllo propriocettivo dell’attrezzo. Ciò che potrebbe rendere adatto il metodo ai soggetti decondizionati, è anche il fatto che riduce notevolmente il rischio di lesioni nell’esecuzione di movimenti inusuali, e riduce lo stress articolare.

Un potenziale svantaggio potrebbe essere dato dal fatto che richiede maggior impegno, coordinazione e controllo muscolare (specie con i pesi liberi, gli esercizi multiarticolari, e i movimenti non vincolati), e può risultare noioso. Alcune critiche mosse sul metodo riguardano la riduzione notevole dell’intensità e del carico, le quali ridurrebbero lo stimolo sullo sviluppo della forza e dell’ipertrofia muscolare rispetto ai metodi tradizionali. A causa dell’intenso sforzo imposto dalle contrazioni molto lente, si consiglia di svolgere solo 2 o 3 esercizi con questa tecnica per gruppo muscolare, e solo 2 serie per esercizio.

Dovrebbe seguire in aggiunta un riposo di 5-7 giorni per gruppo muscolare a seguito del suo utilizzo. Come per molte altre tecniche speciali particolarmente stressanti, questa dovrebbe essere introdotta solo per un periodo limitato di 4-6 settimane, per poi tornare a svolgere gli esercizi con la normale velocità di movimento.
Cenni fisiologici

Uno dei principali obiettivi dell’allenamento in Super slow è quello di accentuare la tensione muscolare a parità di carico di lavoro, e questo si ottiene riducendo la velocità del movimento (Speed of movement). La quantità di forza o di tensione che un muscolo può sviluppare nel corso dell’attività è sostanzialmente influenzata dalla velocità di accorciamento (fase concentrica) o allungamento (fase eccentrica) del muscolo.

La quantità di tensione muscolare è correlata al numero di fibre che si contraggono. Ogni fibra muscolare (o cellula muscolare) contiene da diverse centinaia a diverse migliaia di miofibrille, che sono composte dai filamenti proteici actina (sottili) e miosina (spessi). Questi filamenti spessi e sottili all’interno di ogni miofibrilla compongono l’unità contrattile di base, il sarcomero.

In una fibra muscolare, più lenta è la velocità con cui i filamenti di actina e miosina scorrono, maggiore è il numero di collegamenti o ponti trasversali che possono essere formati tra i filamenti. Maggiori sono i ponti trasversali per unità di tempo, maggiore è la tensione provocata. Quindi con un’attività muscolare a bassa velocità, può essere creato un maggior numero di ponti trasversali, che porta ad una massima tensione per un determinato carico di lavoro.

La tensione in un muscolo è correlata al numero di unità motorie in attività e alla frequenza con la quale vengono convogliati gli impulsi tramite i motoneuroni. Fisiologicamente, utilizzare un protocollo a bassa velocità richiede l’attivazione di più fibre muscolari e un aumento della frequenza di attività, al fine di mantenere una forza necessaria per sollevare un determinato carico di lavoro. Ciò fornisce stimoli per lo sviluppo della forza muscolare.

Lo sviluppo della resistenza iniziale prevede adattamenti neurologici (stimolazione delle fibre muscolari attraverso un aumento dell’attivazione e del reclutamento), seguiti da ipertrofia muscolare. Con lo stimolo dell’ipertrofia muscolare, avviene un aumento della sintesi proteica (proteosintesi) che favorisce una moltiplicazione delle miofibrille all’interno delle fibre muscolari, le quali portano ad un allargamento della sezione trasversale del muscolo. Allo stesso modo avviene un aumento del numero di filamenti di actina e miosina, che aumenta successivamente la capacità di formare i ponti trasversali. Questi adattamenti fisiologici si traducono in un aumento della forza, resistenza, e ipertrofia muscolare.
La ricerca scientifica

Una documento rappresentativo di Westcott et al. pubblicato nel 2001 descriveva 2 studi condotti dalla sua équipe nel 1993 e nel 1999 che confermavano l’efficacia della tecnica Super slow.

Nello studio del 1993 vennero esaminati 74 uomini e donne sedentari (età media 56 anni). I soggetti vennero distribuiti in gruppi da 6 persone e strettamente controllati per otto settimane. Tutti i soggetti eseguirono una serie di 13 esercizi (macchine isotoniche) per 3 giorni a settimana. Questi esercizi erano leg extension, leg curl, leg press, flessioni del collo, estensioni del collo, pull-over, chest press, croci per il petto, alzate laterali, curl per bicipiti, estensioni per tricipiti, crunch addominali e estensioni per la parte bassa della schiena.

Dei 74 soggetti, 39 (10 maschi e 29 femmine), si allenarono ad una velocità normale e 35 (13 maschi e 22 femmine), eseguirono gli esercizi a bassa velocità. Benché entrambi i gruppi differissero per quanto riguarda il tempo trascorso nella fase concentrica, in entrambi i gruppi la fase eccentrica durava 4 secondi. Ciascuno dei soggetti venne testato utilizzando un carico che permettesse 10 RM (gruppo velocità normale) o un carico da 5 RM (gruppo a bassa velocità) alle settimane 2 e 8 nello studio per la valutazione della resistenza muscolare prima e dopo il test. I risultati indicarono che il gruppo a bassa velocità raggiunse guadagni di forza superiore, ottenendo in media un aumento di 26 kg in forza per i 13 esercizi combinati, rispetto a una media di 18 kg per il gruppo a velocità normale.

Il secondo studio del 1999 descritto nel documento, consisteva nell’esaminare 73 uomini e donne sedentari (età media di 53 anni). Questo studio risultò simile a quello del 1993, tranne per il fatto che durava 10 settimane, e le valutazioni prima e dopo il programma erano basate su un carico che permetteva 10 RM (gruppo a velocità normale) e un carico da 5 RM (gruppo a bassa velocità) testando la chest press solo alle settimane 2 e 10 nello studio.

Dei 73 soggetti, 43 (13 maschi e 30 femmine) si allenarono ad una velocità normale, e 30 (10 maschi e 20 femmine), si allenarono a bassa velocità. Questo studio ha sostenuto le conclusioni del precedente, in quanto il gruppo bassa velocità raggiunse risultati migliori rispetto al gruppo a velocità normale, ottenendo in media un aumento di 24 kg sul chest press, rispetto a una media di 16 kg per il gruppo a velocità normale.

Un altro rilevante studio venne condotto da Keeler et al. nel 2001. La ricerca coinvolse 14 donne sedentarie, con un’età media di 32 anni. I soggetti vennero distribuiti in maniera casuale in un gruppo superslow (6 soggetti) e in un gruppo di allenamento tradizionale (8 soggetti). La forza venne valutata sia prima che dopo il programma con un test massimale 1-RM su 8 esercizi con sovraccarichi: leg extension, leg curl, leg press, panca, low row, curl per bicipiti, estensioni per tricipiti, e pull down machine. I soggetti si allenarono 3 volte a settimana per 10 settimane. Per questo studio, il protocollo Super slow veniva caratterizzato da 10 secondi di fase concentrica, seguito da 5 secondi nella fase eccentrica.

Il protocollo tradizionale invece consisteva in due secondi di fase concentrica, seguito da 4 secondi di fase eccentrica. Entrambi i gruppi eseguirono una serie di ciascuno degli 8 esercizi raggiungendo il momentaneo cedimento muscolare tra 8-12 ripetizioni massime (RM). I gruppi tradizionale e super slow iniziarono gli esercizi usando rispettivamente l’80% e il 50% di 1RM, fino a che il cedimento muscolare non veniva raggiunto. Il peso è stato poi aumentato con incrementi del 5%, quando le ripetizioni massime potevano essere completate in buona forma. Solo per la leg press il carico venne invece incrementato del 2,5%.

I risultati indicarono che entrambi i gruppi avevano riscontrato degli effetti significativi eseguendo gli esercizi. Inoltre, il gruppo tradizionale migliorò significativamente rispetto al gruppo Super slow in termini di peso totale sollevato su leg press, leg curl, leg extension, pull down, e chest press. I risultati per la chest press indicarono che il gruppo tradizionale migliorato di una media di 26 libbre (circa 12 chili) rispetto al gruppo Super slow, il quale migliorò in media di sole 9 libbre (circa 4 chili). Si è concluso che il metodo tradizionale è superiore al Super slow per migliorare la forza massimale (1-RM) nella fase iniziale di un programma di allenamento coi pesi per donne sedentarie.

Neils et al. (2005) studiarono il metodo Super slow per determinare gli adattamenti muscolari indotti da questa tecnica nelle fasi iniziali di un programma di allenamento coi pesi, rispetto al metodo tradizionale. Sedici soggetti sani (6 uomini e 10 donne) presero parte allo studio. Venne inizialmente valutata la loro capacità massimale (100% 1RM) su squat e panca piana, la forza esplosiva con il counter movement jump (salto con contro movimento) e squat jump (squat con salto), la composizione corporea mediante assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA). I soggetti che parteciparono al programma di allenamento coi pesi della durata di 8 settimane vennero divisi in due gruppi, uno dei quali applicava il metodo tradizionale (3 uomini e 6 donne), mentre l’altro il Super slow (3 uomini e 4 donne), utilizzando entrambi un carico relativo ad un’intensità del 80% di 1RM. Entrambi i gruppi si allenarono per 3 giorni a settimana.

Entrambi i gruppi migliorarono la forza massima sullo squat e sulla panca piana (+6.8% e 8.6% per il gruppo tradizionale contro +3.6% e 9.1% per il gruppo Super slow, rispettivamente su squat e panca). La forza esplosiva su counter movement jump aumentò considerevolmente nel gruppo tradizionale, ma non venne rilevato alcun incremento nel gruppo Super slow. Entrambi i gruppi migliorarono la prestazione massimale, mentre non venne rilevato alcun cambiamento sullo composizione corporea per entrambi i gruppi. I risultati di questo studio conclusero che il metodo tradizionale è più efficace del Super slow per sviluppare la forza esplosiva, ma entrambi i metodi sono risultati efficaci per migliorare la prestazione massimale. Curiosamente il Super slow permise un miglioramento della prestazione massimale su panca leggermente superiore all’altro gruppo.

Ma le analisi sul metodo Super slow si sono concentrate anche sul suo effetto sul dispendio energetico, e le sue potenziali implicazioni in un programma per la perdita di peso. Hunter et al. (2003) compararono gli effetti di questo metodo con il tradizionale allenamento coi pesi sul dispendio cardiovascolare ed energetico. Vennero a far parte dello studio 7 uomini giovani allenati (età media 24 anni) a cui venne misurato il dispendio energetico tramite la calorimetria indiretta e la frequenza cardiaca per 15 minuti dopo l’allenamento in giorni diversi.

I livelli di lattato nel sangue sono stati valutati prima e dopo ogni intervento. Il dispendio energetico a riposo è stato valutato a digiuno prima di qualsiasi esercizio, e tra 21 e 22 ore dopo entrambi i protocolli. Il consumo di ossigeno (VO2) e la frequenza cardiaca media erano significativamente più elevati durante il protocollo tradizionale che durante il Super slow. Anche il consumo di ossigeno è stato significativamente più alto durante il recupero a 15 minuti, tuttavia, la frequenza cardiaca media non era significativamente differente tra i due gruppi.

La spesa energetica totale da processi ossidativi era del 45% più elevata per il protocollo tradizionale. Anche i livelli di lattato post esercizio erano quasi 2 volte maggiori dopo il protocollo tradizionale. Infine, aggiungendo la stima della spesa energetica del lattato nel sangue al dispendio energetico netto del consumo di ossigeno, è stata prodotta una differenza significativa di oltre il 48% in più per l’allenamento tradizionale. Gli stimoli metabolici e cardiovascolari erano bassi nel protocollo Super slow. I ricercatori conclusero che l’allenamento coi pesi tradizionale aumenta il dispendio energetico più allenamento in Super slow, e quindi può essere più utile per il controllo del peso corporeo.

Goto et al. (2009) esaminarono le risposte ormonali indotte dall’esericizio coi pesi con movimento lenti, variando la durata della fase concentrica ed eccentrica nei diversi protocolli. Nove uomini eseguirono diversi protocolli al leg extension:

    esercizio coi pesi a bassa intensità con una durata di 5 secondi nella fase concentrica e di 1 secondo in quella eccentrica;
    esercizio coi pesi a bassa intensità con una durata di 1 secondo nella fase concentrica e 5 secondi in quella eccentrica;
    esercizio coi pesi a bassa intensità con una durata di 3 secondi nella fase concentrica e 3 secondi in quella eccentrica;
    esercizio coi pesi ad alta intensità con una durata di 1 secondo nella fase concentrica e 1 secondo in quella eccentrica;

Le concentrazioni di lattato erano significativamente più elevate nel protocollo con la durata maggiore (5 secondi) nella fase concentrica (5-1) rispetto al protocollo con la durata maggiore nella fase eccentrica (1-5). Gli esercizi con movimenti lenti crearono un significativo aumento dell’adrenalina plasmatica, il GH sierico, e il testosterone libero. Le concentrazioni di GH sierico incrementarono maggiormente a seguito dei 3 protocolli con movimenti lenti se comparati con il protocollo ad alta intensità con movimenti rapidi. Tuttavia, i livelli di cortisolo sierico erano maggiormente elevati dopo il protocollo che prevedeva una maggiore durata nella fase concentrica rispetto agli altri.

Il consumo medio di ossigeno durante la sessione era significativamente maggiore nel protocollo ad alta intensità, senza alcuna differenza tra gli esercizi con movimenti lenti. In conclusione, l’esercizio coi pesi con movimenti lenti aumenta in maniera acuta le concentrazioni di ormoni anabolici indipendentemente dal tempo di durata delle fasi concentrica ed eccentrica. Inoltre, l’eserciziocoi pesi in cui la fase eccentrica trova una durata maggiore stimola in maniera inferiore i cambiamenti nelle concentrazioni di lattato e cortisolo se comparati all’esercizio lento in cui dura più la fase concentrica.

Mukaimoto e Ohno esaminarono l’impatto del Super slow sul consumo di ossigeno (VO2) durante e dopo il periodo della sua applicazione. Undici uomini sani eseguirono i seguenti 3 tipi di esercizi di allenamento coi pesi a circuito in giorni diversi:

    esercizio coi pesi a bassa intensità di con movimenti lenti: eseguito al 50% di 1-RM, con 4 secondi sia nella fase concentrica che eccentrica;
    esercizio coi pesi ad alta intensità di con movimenti normali: eseguito al 80% di 1-RM, con 1 secondo sia nella fase concentrica che eccentrica;
    esercizio coi pesi a bassa intensità di con un movimento normale: eseguito al 50% di 1-RM, con 1 secondo sia nella fase concentrica che eccentrica;

Questi tre protocolli vennero eseguiti per 3 serie in uno schema di circuito con 4 esercizi, portando sempre la serie al cedimento muscolare. Il consumo di ossigeno è stato monitorato in continuo durante l’esercizio fisico e per 180 minuti dopo l’esercizio. La media del consumo di ossigeno per tutta la sessione di allenamento era significativamente più alta con l’esercizio coi pesi ad alta e bassa intensità con movimenti normali piuttosto che con il protocollo Super slow, tuttavia, il consumo di ossigeno totale era significativamente maggiore nel protocollo Super slow rispetto agli altri metodi.

Al contrario, non vi erano differenze significative nel consumo di ossigeno in eccesso post-allenamento (EPOC) totale tra i 3 protocolli. I risultati di questo studio suggeriscono che l’esercizio coi pesi a bassa intensità con movimenti lenti (Super slow) induce una spesa energetica molto maggiore rispetto all’esercizio coi pesi con movimenti normali ad alta o bassa intensità, e viene seguita da simili valori di EPOC per 180 min dopo l’esercizio.

Una delle ricerche più recenti (Burd et al., 2012) volle determinare se il muscolo sotto tensione durante l’esercizio coi pesi a bassa intensità influisce sulla sintesi di frazioni proteiche muscolari specifiche ​​o sulla fosforilazione di proteine ​​che determinano l’innesco di segnali anabolici. Otto uomini (età media di 24 anni) hanno effettuato 3 serie di leg extension unilaterale al 30% di 1 RM le cui ripetizioni duravano 6 secondi sia nelle fasi concentriche che eccentriche a cedimento (protocollo lento), oppure ripetizioni della durata di 1 secondo sia nelle fasi concentriche che eccentriche (protocollo veloce). I partecipanti ingerirono 20 g di proteine ​​del siero del latte immediatamente dopo l’esercizio e nuovamente a 24 ore di recupero.

Il tasso di sintesi proteica miofibrillare è stata maggiore nel protocollo lento rispetto a quello rapido dopo 24-30 ore di recupero. Il tasso di sintesi proteica mitocondriale e sarcoplasmatica indotte dall’esercizio sono state elevate del 114% e 77%, rispettivamente, al di sopra dei livello a riposo a 0-6 ore dopo l’esercizio solo nel protocollo lento. La sintesi proteica mitocondriale è rimasta elevata al di sopra dei livelli a riposo durante il recupero per 24-30 ore a seguito di entrambi gli allenamenti, del 175% nel protocollo lento, e del 126% in quello rapido. I mostrano che il maggiore Time Under Tension aumenta l’ampiezza acuta della sintesi proteica mitocondriale e sarcoplasmatica e porta anche ad una rilevante, ma ritardata, stimolazione della sintesi proteica miofibrillare entro 24-30 ore dopo l’esercizio coi pesi.
Conclusioni

Dall’analisi delle varie ricerche emergono risultati controversi riguardo alla superiorità del metodo Super slow per quanto riguarda l’aumento della forza, dell’ipertrofia, e del dispendio energetico. Mentre alcuni studi rilevarono un miglioramento maggiore della forza da parte del Super slow, altri portarono a conclusioni opposte, ed altri ancora stabilirono che i miglioramenti sulla forza risultavano simili tra quest’ultimo e il metodo tradizionale. Nell’ambito del dispendio energetico, uno studio riconobbe la superiorità del metodo tradizionale sulla spesa energetica e sul EPOC (consumo di ossigeno in eccesso post-allenamento), mentre altri conclusero anche in questo caso risultati contrari.

Il Super slow agisce aumentando notevolmente il Time Under Tension durante le serie, e alcune evidenze hanno osservato che il prolungamento di questo parametro porta ad un maggiore dispendio energetico complessivo. Proprio per i Time Under Tension molto prolungati, questa tecnica ha dimostrato anche la capacità di aumentare la sintensi e la densità di mitocondri, oltre che la sintesi miofibrillare (connessa con lo sviluppo di forza e ipertrofia muscolare). L’aumento della densità mitocondriale rappresenta un fattore interessante riguardo al metodo Super slow, in quanto è stato appurato che i metodi tradizionali causano invece un suo decremento.

I risultati contrastanti tra gli studi possono essere facilmente dovuti a variabili potenzialmente anche molto diverse come le categorie di soggetti esaminati (uomini, donne, età media, stato di allenamento), diverse metodologie di allenamento (Time Under Tension, Speed of movement, volume, intensità, tempi di recupero) e altre diverse procedure previste dai test. Si riconosce infatti come i vari studi vadano a nominare in maniera generica il metodo tradizionale e il Super slow, definendoli con dei canoni che presumibilmente differiscono tra i test.

L’unico punto comune tra i protocolli tradizionali sarebbe probabilmente la velocità di movimento più rapida e il TUT più contenuto. Ad ogni modo, il Super slow è riuscito comunque a dimostrare risultati positivi sul miglioramento di tutti questi punti, anche se in alcuni casi inferiori rispetto ai metodi tradizionali. Infine, il metodo Super slow ha dimostrato di aumentare maggiormente le concentrazioni di GH rispetto al tradizionale metodo ad alta intensità, presumibilmente per il fatto che la secrezione di questo ormone incrementa di pari passo con il Time Under Tension e quindi la produzione di lattato, prodotto metabolico caratteristico del metabolismo anaerobico lattacido glicolitico.

Mentre l’alta intensità non causa una grande elevazione dei livelli di lattato per i tempi di attività del sistema anaerobico alattacido o dei fosfati. Dal momento che la costante varietà di stimolo durante i vari cicli rappresenta un importante aspetto della programmazione dell’allenamento coi pesi sul lungo termine, incorporare vari metodi, tra cui il Super slow in alcune fasi, potrebbe essere una valida strategia per indurre ulteriori miglioramenti sotto l’aspetto degli adattamenti muscolari

 

                              Le ripetizioni negative

 

 


Le ripetizioni negative sono una tecnica speciale applicata nell’allenamento con sovraccarichi, in particolare nel body building e nel powerlifting.
Cosa sono le Ripetizioni Negative

Le Ripetizioni negative sono una tecnica molto intensa applicata nell’esercizio con i pesi (resistance training), che si basa sull’esaltazione del lavoro eccentrico. Per questo motivo potrebbe essere facile cadere nell’errore di scambiare questo metodo con le ripetizioni eccentriche, uno stile di esecuzione che prevede anch’esso di accentuare la fase negativa o eccentrica del movimento.

Tale confusione deriva dal fatto che durante le fasi del movimento di contrazione e allungamento del muscolo (speed of movement), la porzione di allungamento o di ritorno viene identificata con i termini eccentrica o negativa, che vengono considerati come sinonimi. Effettivamente diversi autori si riferiscono al negative training (allenamento negativo) come un approccio generico in cui la fase negativa viene enfatizzata.

Tuttavia, nel caso in cui ci si rivolga a delle particolari tecniche speciali, le ripetizioni eccentriche e le ripetizioni negative fanno riferimento a due metodi diversi. Quando ci si riferisce alle ripetizioni eccentriche, più facilmente si intende impostare una velocità di movimento delle ripetizioni in cui la fase eccentrica viene generalmente prolungata. Ad esempio, se durante una serie, le ripetizioni che la compongono durano 1 secondo nella fase concentrica (o positiva), e 3 secondi nella fase eccentrica (o negativa), si può parlare di ripetizioni eccentriche.

Nel bodybuilding le ripetizioni eccentriche sono molto popolari, a tal punto che spesso si tende a prolungare o trattenere la fase eccentrica in maniera automatica e istintiva. Per tale motivo potrebbero non essere considerate propriamente una tecnica speciale, ma semplicemente una particolare velocità di movimento delle ripetizioni all’interno di una serie. Alcuni denominano le ripetizioni eccentriche anche come negative enfatizzate (negative emphasized), riferendosi all’enfatizzazione di questa fase.

Le ripetizioni negative invece rappresentano l’accentuazione delle normali ripetizioni eccentriche, facendo riferimento in parte al maggiore tempo di abbassamento del carico, e in parte al carico generalmente pesante. Sono una tecnica speciale molto intensa, che sfrutta la capacità del muscolo di produrre tensioni superiori nella fase eccentrica rispetto a quella concentrica. Questa strategia permette di aumentare il danno muscolare, e mediante il quale viene innescata una serie di reazioni a cascata che portano alla crescita muscolare.

Tale approccio si rivela molto efficace per guadagnare forza, e molto spesso per causare un maggiore fenomeno del DOMS (indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata), che viene maggiormente provocato proprio dall’allenamento eccentrico. In realtà le ripetizioni negative si possono suddividere essenzialmente in due tipologie distinte, ed entrambe richiedono l’intervento di uno o più assistenti per poter essere eseguite. Sia che si tratti della variante submassmale o sovramassimale, ne viene sconsigliata l’applicazione frequente dato l’alto stress muscolare e tendineo.
Ripetizioni negative submassimali

Le Ripetizioni negative submassimali rappresentano la variante relativamente meno intensa. In questo caso si utilizzano carichi sottomassimali, cioè inferiori alla capacità massimale (100% RM), o inferiori al carico che può permettere al massimo una ripetizione, e si richiede l’intervento di un assistente (spotter). Si parte impostando un numero definito di ripetizioni a cedimento che l’atleta porterà a termine senza aiuto.

Fino a questo momento la tecnica non viene applicata in quanto la serie viene compiuta in maniera tradizionale. Raggiunta la soglia del cedimento, l’esecutore, pur non riuscendo a portare a termine ulteriori ripetizioni passando per la fase concentrica, sarà in grado di effettuarne altre trattenendo il carico solo nella fase eccentrica. Questo perché i muscoli sono molto più forti nella porzione negativa dell’esercizio.

Il compagno quindi viene incaricato di applicare una forza sinergica per poter risollevare il carico nella fase concentrica, consentendo all’esecutore di eseguire da solo la seconda parte della ripetizione, cioè nella fase eccentrica, per circa 2 o 3 volte, in cui il tempo di durata della fase di abbassamento dovrebbe durare non meno di tre secondi. Quando non si è più in grado di trattenere il carico nella porzione negativa per meno di tre secondi, è il caso di interrompere la tecnica e terminare la serie. Si tratta quindi di una variante estrema delle ripetizioni forzate, in cui il lavoro eccentrico viene più eccentuato. Alcuni professionisti consigliano di applicarla solo su una o due tre serie per gruppo muscolare, per poi smettere di utilizzarla per circa 2 mesi.
Ripetizioni negative sovramassimali

Le Ripetizioni negative sovramassimali, dette anche Metodo retrogravitazionale, prevedono l’utilizzo di carichi sovramassimali, vale a dire che superano il determinato carico che può permettere al massimo una ripetizione (100% 1 RM). Si parlerà di intensità o percentuali di carico (% 1-RM) corrispondenti al 110-120, fino al 130-140% di 1-RM. Tali carichi non sarebbero sollevabili senza l’aiuto di uno o più assistenti neanche dalla prima ripetizione, pertanto ne richiedono l’intervento obbligato a partire dall’inizio della serie. In questa variante, l’atleta, essendo incapacitato a sollevare il carico, dal principio lascia agli assistenti il compito di eseguire la fase concentrica, e su cui eserciterà uno sforzo minimo se non nullo.

Il reale sforzo dell’atleta viene applicato unicamente nella fase negativa, in cui sarà impegnato a contrastare la discesa resistendo il più possibile durante tutte le ripetizioni della serie. Si consiglia di impiegare abbastanza secondi nella fase eccentrica, considerando che la fase concentrica viene evitata. La durata della fase eccentrica dovrebbe essere fra 3 e 5 secondi. Se si riesce a trattenere il carico per più di 5 secondi, sarà opportuno aumentarlo, mentre non si riesce a trattenerlo entro questi tempi sarà necessario diminuirlo. In realtà il numero di ripetizioni eseguibili non è molto alto a causa dell’elevato stress meccanico.

Proprio per questi motivi vi è un aumento del rischio infortuni provocato da tale metodo, ed è quindi opportuno effettuarlo raramente, e lasciare la sua applicazione ad atleti esperti. Alcuni esperti consigliano di effettuare la tecnica su 3 serie di un esercizio con 4-6 ripetizioni negative.
La ricerca

Le Ripetizioni negative rappresentano una delle svariate metodiche la cui validità è stata scientificamente riconosciuta. Le tradizionali ripetizioni eccentriche sono responsabili della deformazione meccanica delle fibre muscolari, e quindi dell’aumento della sintesi proteica. Sono state completate una significativa mole di ricerche, che mostrano che l’allenamento eccentrico risulta in un grande guadagno di ipertrofia muscolare. L’allungamento contrastato applicato nella fase negativa provoca un danno muscolare che porta all’attivazione di numerosi fattori di crescita, gli IGF-1. Altri studi hanno osservato che l’applicazione di contrazioni eccentriche massive aumentano la fosforilazione p70S6K e stimolano MAKP. Oltre alla produzione di IGF-1, il danno muscolare determina anche la produzione di citochine infiammatorie, molecole che avviano la proliferazione delle cellule satellite.

Per quanto riguarda le ripetizioni negative sovramassimali, uno studio condotto da Doan et al. (2002), rilevò che la forza massimale (1-RM) può essere aumentata in maniera acuta applicando un carico sopramassimale (105% 1-RM) nella fase eccentrica della ripetizioni. Questo aumento acuto (5% superiore al 100% 1-RM) nella fase eccentrica ha portato miglioramenti sulla prestazione massimale concentrica da 5 a 15 kg per tutti i soggetti. Le teorie sul motivo per cui si verifica un aumento della forza a seguito del lavoro eccentrico includono una maggiore stimolazione neurale al muscolo e al suo interno, una maggiore energia elastica immagazzinata nei muscoli, e un aumento dell’ipertrofia muscolare.

Lo stimolo neurale all’interno del muscolo in seguito all’esercizio eccentrico provoca un maggiore allungamento del fuso neuromuscolare. Il fuso neuromuscolare è un recettore situato nel muscolo che si trova in parallelo alle proteine ​​contrattili (actina e miosina), ed è sensibile allo stiramento del muscolo e alla velocità di stiramento. Questo aumento dell’attività dei fusi neuromuscolari a seguito dello stiramento attiva un aumento dei nervi motori al muscolo, aumentando potenzialmente la forza concentrica della contrazione delle fibre muscolari. Doan e colleghi suggeriscono che le ripetizioni negative sovramassimali sono un ottimo strumento per superare lo stallo da parte degli atleti.

Mentre il cliente si rende conto di sollevare pesi maggiori, Doan et al. affermano che “si sta ingannando il cervello che si prepara per una ripetizione concentrica maggiore”. Un’altra teoria per l’aumento della prestazione massimale concentrica dopo l’allenamento eccentrico sovramassimale implica il concetto che vede il muscolo rispondere come una fascia elastica. Doan e colleghi spiegano che una maggiore forza dinamica eccentrica può aumentare lo stoccaggio di energia elastica delle fibre muscolari e dei tendini, fornendo così una maggiore capacità produrre forza nell’azione concentrica.

                 Le ripetizioni forzate  


Le Ripetizioni forzate, in inglese Forced repetitions o Forced reps, sono una tecnica speciale applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.
Definizione

Le ripetizioni forzate sono una tecnica che viene applicata solo dopo aver raggiunto il cedimento muscolare nell’ultima ripetizione di una serie nell’esercizio di resistenza e, per essere compiute, richiedono obbligatoriamente l’intervento di un compagno (spotter). Una volta raggiunto il cedimento muscolare, la tecnica pervede di eseguire alcune (3 o 4) ripetizioni aggiuntive con l’aiuto dell’assistente, il quale applica all’attrezzo una forza sinergica a quella dell’atleta sufficiente al loro completamento.

Questo sistema costringe il muscolo a continuare a produrre forza quando è molto affaticato, superando l’ostacolo del cedimento muscolare e assicurandone il pieno esaurimento, incidendo sul prolungamento del Time Under Tension (TUT). Quando si portano le ripetizioni sull’orlo dell’esaurimento, si aumentano la quantità di sangue e la tensione muscolare, promuovendo ulteriormente la crescita muscolare. Le ripetizioni forzate permettono di completare il numero impostato di ripetizioni senza dover interrompere l’esecuzione e prendere tempo per continuare con un peso più leggero.

Questa tecnica viene adoperata col fine di aumentare l’intensità della serie più di quanto venga permesso dal carico utilizzato, e da quanto rilevato dalle ricerche, tra i vari effetti ha la capacità di incrementare la produzione dell’ormone della crescita (GH) e del testosterone. Secondo l’American College of Sports Medicine, le ripetizioni forzate sono un ottimo metodo per riuscire a superare lo stallo nel corso di un programma di bodybuilding. La strategia di aumentare l’intensità della serie più di quanto previsto dalla percentuale di carico (% 1RM), viene applicata in alcune altre tecniche che propongono di prolungare il TUT oltre la soglia del cedimento muscolare, come il Super set, il Rest pause, o lo Stripping.

Le Ripetizioni forzate sono una tecnica adatta all’alta intensità, ovvero con carichi molto pesanti (85-90% 1RM), che consentirebbero di svolgere, ad esempio 2-6 ripetizioni da soli con la tecnica pulita al cedimento muscolare. Il numero di ripetizioni aggiuntive permesse dall’intervento dell’assistente è generalmente basso, attorno alle 2-3, ma dipende anche dall’entità dell’aiuto sinergico fornito.Come molte altre tecniche speciali intense, specie se eseguite ad alte intensità, si sconsiglia di introdurre troppe ripetizioni forzate e troppo spesso, poiché porterebbero facilmente al sovrallenamento penalizzando lo sviluppo muscolare. Alcune ricerche stabilirono che anche solo portare ogni serie al cedimento può avere effetti negativi sulle risposte ormonali e i guadagni di forza e potenza.
La ricerca

Alcune ricerche hanno testato l’applicazione delle Ripetizioni forzate per constatarne gli effetti. Ahtiainen et al. (2003) esaminarono le risposte ormonali acute su 16 atleti maschi a seguito di diversi protocolli di allenamento di resistenza, confrontando le serie a ripetizioni massime (RM), cioè portate al cedimento muscolare, con le serie dove venivano applicate le ripetizioni forzate.

    Il protocollo Massime ripetizioni (RM) prevedeva 4 serie di leg press, 2 serie di squat e 2 serie di leg extension (con 12 RM) con 2 minuti di recupero tra le serie e 4 minuti tra gli esercizi.
    Nel protocollo Ripetizioni forzate (FR), il carico iniziale è stato scelto per essere superiore modo che gli atleti non potessero sollevare 12 ripetizioni per serie da soli. Dopo ogni serie portata al cedimento, l’atleta veniva assistito per eseguire le ripetizioni restanti per completare le 12 ripetizioni per serie. Quindi l’intensità del protocollo FR era maggiore rispetto a quella del RM.

Entrambi i protocolli portarono ad un aumento acuto dei livelli di testosterone sierico, testosterone libero, cortisolo e GH. Tuttavia, le risposte del cortisolo e del GH erano maggiori nel protocollo FR che in quello MR. La diminuzione del 56,5% nella forza isometrica massima in FR era maggiore di quella del 38,3% in MR e la forza è rimasta inferiore durante il recupero in FR rispetto a MR. La maggiore diminuzione della forza isometrica in FR che in MR è stata anche associata alla diminuzione volontaria massimale elettromiografica dei muscoli sotto carico. I dati indicano che la tecnica delle ripetizioni forzate induce risposte ormonali e neuromuscolari acute maggiori di un tradizionale sistema di allenamento eseguito a ripetizioni massime a cedimento, e quindi può essere usato per manipolare le variabili acute dell’esercizio di resistenza negli atleti.

L’anno successivo, la stessa équipe di ricercatori approfondì gli effetti ormonali e neuromuscolari delle Ripetizioni forzate su atleti allenati e soggetti non allenati. Sono stati testati 8 atleti di forza (pesisti) maschi con diversi anni di esperienza e 8 atleti fisicamente attivi, ma non atleti di forza. Come nel precedente esperimento, anche questo prevedeva due sessioni: ripetizioni massime (MR) e di ripetizioni forzate (FR).

    Il protocollo MR si caratterizzava da 12-RM di squat per 4 serie con 2 minuti di recupero tra le serie.
    Nel protocollo FR il carico iniziale era superiore a quello del MR in modo che il soggetto potesse sollevare da solo circa 8 ripetizioni e 4 ripetizioni supplementari con l’assistenza.

Prima e dopo i protocolli, sono stati elaborati i campioni di sangue per determinare i livelli sierici di testosterone, testosterone libero, cortisolo e le concentrazioni di ormone della crescita (GH), e di lattato nel sangue. La massima forza isometrica volontaria e l’attività elettromiografica (EMG) sul leg extension è stata misurata prima e dopo l’esercizio, nonché 24 e 48 ore dopo l’esercizio. Le concentrazioni degli ormoni misurati sono aumentati significativamente dopo entrambe le sessioni in entrambi i gruppi.

Le risposte tendevano ad essere più elevate nel gruppo FR rispetto al MR, e gli aumenti delle concentrazioni di testosterone erano significativamente maggiori con entrambi i protocolli negli atleti di forza che in quelli non di forza. Entrambi i protocolli in entrambi i gruppi hanno anche portato ad un affaticamento neuromuscolare con significative diminuzioni acute della forza isometrica del 32-52% e l’attivita elettromiografica massima associata ad un aumento di grandi quantità di lattato nel sangue.

Questi dati suggeriscono che, almeno in negli atleti di forza esperti, la tecnica delle ripetizioni forzate è una valida alternativa al più tradizionale protocollo massime ripetizioni, e può anche risultare un approccio superiore. Sebbene la risposta ormonale (testosterone, ormone della crescita, cortisolo) aumentò similmente con entrambi i protocolli in entrambi i gruppi, gli aumenti di testosterone negli atleti allenati (pesisti) erano significativamente maggiori rispetto al protocollo ripetizioni massime.

Alcuni anni dopo, Drinkwater et al. (2007) riesaminarono la questione delle Ripetizioni forzate. In particolare, analizzarono i guadagni della forza ottenuti con tale metodo di allenamento. Dodici giocatrici di pallacanestro e 10 giocatrici di pallavolo si sono allenate per 3 sessioni a settimana per 6 settimane, eseguendo un allenamento di panca piana da 4 x 6, 8 x 3, o 12 x 3 (serie x ripetizioni) per ogni sessione.

Comparate al gruppo 8 x 3, il protocollo 4 x 6 prevedeva maggiori tempi di recupero, e il 12 x 3 includeva maggiori volumi di allenamento, in modo che ciascun gruppo svolgesse un diverso numero di ripetizioni forzate per sessione di allenamento. I soggetti sono stati testati sulla panca piana a 3 e 6 ripetizioni massime (RM), e sulla panca piana su Smith machine. I gruppo 4 x 6 e 12 x 3 eseguivano più ripetizioni forzate per sessione di quanto non facessa il gruppo 8 x 3, mentre il gruppo 12 x 3 eseguiva approssimativamente il 40% in più di lavoro e il 30% in più di lavoro concentrico. Come previsto, tutti i gruppi migliorarono la prestazione su 3RM, 6RM, la potenza massima e la potenza media.

Non ci sono state differenze significative nei guadagni di forza o di potenza tra i gruppi. In conclusione, in caso di raggiungimento del cedimento muscolare, né ulteriori ripetizioni forzate, né il volume delle serie aggiuntive hanno migliorato ulteriormente l’ampiezza dei guadagni di forza. Questa scoperta mette in discussione l’efficacia di aggiungere volume supplementare per mezzo di ripetizioni forzate in giovani atleti con una moderata esperienza nell’esercizio di resistenza.

               Le ripetizioni eccentriche

Le Ripetizioni eccentriche o Allenamento eccentrico, rappresentano una tecnica applicata nell’allenamento di resistenza (Resistance training), molto spesso nel body buildinge fitness, ma anche nei programmi riabilitativi, in cui la fase negativa (o eccentrica) del movimento viene trattenuta e prolungata. Questo è un tipo di attività muscolare in cui viene aumentata la tensione muscolare in fase di allungamento.
Definizione di Ripetizioni Eccentriche

Nella fisiologia muscolare esistono essenzialmente 3 tipi di contrazione: la contrazione concentrica, la contrazione eccentrica, e la contrazione isometrica. L’azione muscolare eccentrica si verifica normalmente come meccanismo di frenata o opposizione ad un’azione concentrica (accorciamento) in diversi movimenti, col fine di proteggere le strutture articolari da eventuali infortuni. Con l’attività eccentrica il muscolo si allunga mentre rimane sotto tensione a causa della pressione imposta da una resistenza esterna (come un peso). Gran parte degli studi scientifici sulla fisiologia muscolare si sono focalizzati sulle contrazioni isometriche (contrazioni statiche in cui il muscolo non modifica la sua lunghezza) o isotoniche concentriche.

Una delle prime osservazioni scientifiche che considerarono l’azione muscolare eccentrica risale al 1882 da parte di Fick, il quale scoprì che il muscolo sottoposto ad uno stiramento trattenuto avrebbe potuto produrre una forza maggiore rispetto alla contrazione muscolare in accorciamento. Una cinquantina di anni più tardi, nel 1938, AV Hill (che vinse il premio Nobel) accertò che il corpo richiedeva un’inferiore spesa energetica quando si esegue un’azione muscolare eccentrica rispetto ad una azione muscolare concentrica. Nel 1953 Asmussen introdusse il concetto di esercizio eccentrico denominandolo “excentric exercise”, dove l’”ex” significava “lontano da”, e dove “centric” si riferiva al “centro”, quindi “lontano dal centro”. Lindstedt et al. spiegano che quando il peso supera la forza sviluppata dal muscolo, come nella porizione eccentrica del movimento, ci si riferisce al “lavoro negativo”, perché il muscolo sta assorbendo l’energia dal movimento sovraccaricato. L’ampiamente approfondita ricerca sull’allenamento eccentrico è in continua evoluzione in molti campi sportivi e riabilitativi, così come nell’ambito del bodybuilding, e in generale nell’esercizio con sovraccarichi.
Ripetizioni eccentriche nell’esercizio di resistenza

Il lavoro muscolare eccentrico si verifica quando viene esercitata una maggiore resistenza durante la fase di ritorno nel sollevamento di un carico. Eseguire le ripetizioni eccentriche può essere una strategia efficace per guadagnare forza e ipertrofia, e risulta inoltre il metodo che tra tutti più influisce sulla manifestazione del DOMS, ovvero l’ indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata.

La contrazione eccentrica presenta alcune caratteristiche che la rendono differente da quella concentrica. Tra queste, una capacità di produzione di energia superiore del 40-50%, un’inferiore reclutamento delle unità motorie, anche se impone un maggiore stress sulla singola unità motoria (riconosciuta come tetano), un aumento dei microtraumi muscolari e dei sintomi del DOMS. Questi sintomi si manifestano maggiormente quando la fase eccentrica del movimento viene accentuata. Le ripetizioni eccentriche sono una tecnica molto diffusa nel bodybuilding, e causano un conseguente danno cellulare e l’attivazione e proliferazione delle cellule satellite.
Cenni fisiologici della contrazione muscolare

Il muscolo è un tessuto che produce tensione composto da piccole unità contrattili chiamate sarcomeri. Il sarcomero contiene miofilamenti proteici spessi (miosina) e sottili (actina), che si sovrappongono per formare i ponti trasversali. La teoria dei ponti trasversali nella fisiologia della contrazione muscolare sostiene che l’accorciamento di un muscolo si verifica quando i ponti trasversali di miosina si attaccano all’actina, e che i due filamenti si attirino creando la forza di accorciamento. Inoltre, secondo questa teoria, ogni ciclo di contrazione e rilascio tra i ponti trasversi è alimentato dalla liberazione di una molecola di adenosina trifosfato (ATP).

Questo ciclo di contrazione o accorciamento è definito come azione concentrica (o contrazione). L’azione muscolare concentrica avviene ogni volta che il muscolo svolge un’azione come camminare su un terreno pianeggiante, calciare un pallone, o raccogliere un peso. Una contrazione muscolare eccentrica, invece, è l’allungamento di un muscolo in risposta a una forza in opposizione alla contrazione muscolare, in cui la forza di contrasto (come il sollevamento di un peso) è maggiore della produzione della energia in atto.

Quando i miofilamenti di una fibra muscolare vengono allungati mentre si contraggono (vale a dire durante una contrazione eccentrica), alcuni ricercatori suggeriscono la possibilità che si possa verificare una diminuzione del fenomeno di distacco dei legami a ponte (quindi un incremento di legami a ponte che rimangono attaccati), portando ad una maggiore produzione di forza nella fase eccentrica. Gli stessi ricercatori suggeriscono che durante la contrazione eccentrica si verifichi un incremento della rigidità della proteina titina. La titina aggiunge un aumento della forza passiva alla produzione di forza del muscolo mentre rimane sotto carico. Esempi di contrazioni muscolari eccentriche sono la camminata in discesa, o resistere alla forze di gravità con un peso o un oggetto. L’azione eccentrica impone uno stiramento del sarcomero al punto in cui i miofilamenti possono accusare un affaticamento del sarcomero, o dei danni e delle lacerazioni muscolari denominati DOMS (indolenzimento muscolare insorgenza ritardata).

    Durante l’azione concentrica, i legami a ponte miosinici collegati ai filamenti di actina si attirano tra loro, accorciando il sarcomero;
    Durante l’azione eccentrica, i legami a ponte miosinici si collegati ai filamenti di actina si allontanano tra loro (come quando il peso è maggiore della forza del muscolo), allungando il sarcomero;

DOMS e contrazioni eccentriche

Tra i vari tipi di contrazione muscolare, è stato dimostrato che quella eccentrica produce il maggior grado di DOMS, rispetto alla contrazione concentrica o isometrica. L’esercizio isocinetico al contrario non ha dimostrato una rilevante insoergenza del DOMS. Questo è presumibilmente legato al fatto che i macchinari per l’esercizio isocinetico non offrono alcuna resistenza nella fase di ritorno del movimento, quindi il muscolo non subisce una contrazione eccentrica.

Le strette connessioni tra DOMS ed esercizio eccentrico accade per via dell’attività meccanica dei filamenti proteici actina e miosina, cioè i componenti delle miofibrille responsabili della contrazione muscolare. Durante la fase eccentrica, il muscolo prova ad accorciarsi per contrastare il carico esterno. Tuttavia la forza esterna è maggiore della capacità del muscolo coinvolto. Questo allunga il muscolo e il tessuto connettivo associato mentre il muscolo sviluppa tensione.

La contrazione eccentrica si verifica quando i muscoli subiscono una contrazione durante la fase di allungamento. Questo tipo di contrazione provoca tensioni molto elevate all’interno dei muscoli, portando a strappi muscolari microscopici e un fenomeno chiamato “scorrimento della linea-Z”, e questo gioca un ruolo importante nel dolore che si verifica dopo l’esercizio.
Allenamento eccentrico e insulinoresistenza

Alcuni studi hanno rilevato che l’esercizio di natura eccentrica possa peggiorare lo stato di insulinoresistenza, o ridurre la sensibilità insulinica, cioè essenzialmente la capacità del muscolo scheletrico di captare glucosio aumentando la capacità di stoccaggio del glicogeno e riducendo l’entità del processo di conversione in lipidi di deposito. L’aumento della sensibilità insulinica rappresenta un importante fattore in grado di favorire il dimagrimento.

L’esercizio eccentrico sembra causare un danno muscolare con diminuzione del numero di GLUT-4 (le molecole responsabili del trasporto di glucosio all’interno della cellula), e una conseguente riduzione dell’insulino-sensibilità. Sebbene in seguito all’esercizio di resistenza abbia luogo un aumento della sensibilità insulinica e della capacità di stoccaggio del glicogeno intramuscolare, è stato rilevato che in seguito all’esercizio eccentrico avvenga invece una riduzione della risintesi di glicogeno (connessa con una maggiore insulino resistenza).

Questo a causa di una riduzione della concentrazione dei GLUT-4, che può abbassarsi anche più del 39%. Comunque studi successivi suggerirono che questo peggioramento sia solo transitorio, infatti sul lungo termine lo stato di sensibilità insulinica migliora, suggerendo che l’esercizio eccentrico può essere un valido metodo per combattere l’obesità e la dislipidemia.

Effettivamente, sia atleti di forza che di endurance, con un maggior sviluppo rispettivamente di fibra di tipo I e di tipo II, dimostrano di riuscire a contenere i peggioramenti della sensibilità insulinica e quindi della tolleranza glucidica, in seguito ad un periodo di riposo forzato.
Tecniche di allenamento eccentrico

Nell’ambito dell’esercizio di resistenza sono state elaborate alcune tecniche che esaltano le ripetizioni o il lavoro eccentrico del movimento per poter ottenere ulteriori guadagni negli adattamenti muscolari sulla forza, ipertrofia muscolare e potenza.
Augmented Eccentric Loading (AEL)

L’ Augmented Eccentric Loading (AEL), tradotto come carico eccentrico aumentato, è una delle tecniche che esaltano la fase eccentrica del movimento. Il metodo prevede l’uso di carichi maggiori nella fase eccentrica, seguiti immediatamente dall’uso di carichi inferiori nella fase concentrica. Ciò può essere applicato attraverso l’uso di weight releaser (attrezzi appositi che aumentano il carico nella fase eccentrica e lo alleggeriscono nella fase concentrica) o attraverso un aumento manuale della resistenza con l’intervento di un assistente il quale aumenta la pressione solo nella fase eccentrica. Un’ulteriore possibilità di applicare l’AEL con le attrezzature disponibili nelle palestre, ma l’organizzazione è più complessa e richiede l’intervento di più assistenti.

Diversi studi hanno dimostrato che l’AEL si sia rivelato come un efficace metodo di allenamento per migliorare la forza e la potenza delle parti superiore e inferiore del corpo. Doan et al. (2002) hanno dimostrato un aumento acuto della forza massimale su panca piana. Maggiori adattamenti sono stati osservati quando il carico eccentrico era superiore in media del 20% rispetto alla fase concentrica, ma il metodo potrebbe non essere adatto per atleti principianti, in quanto sono stati mostrati inferiori risultati con questo tipo di soggetti.
Ripetizioni negative

Le Ripetizioni negative sono un’altra tecnica speciale in cui la fase eccentrica o negativa viene enfatizzata. Ne esistono due varianti, le Negative submassimali e le Negative sovramassimali.

Le submassimali rappresentano la variante relativamente meno intensa. In questo caso si utilizzano carichi sottomassimali, cioè inferiori alla capacità massimale (100% RM), o inferiori al carico che può permettere al massimo una ripetizione, e si richiede l’intervento di un assistente (spotter). Raggiunta la soglia del cedimento, l’esecutore, pur non riuscendo a portare a termine ulteriori ripetizioni passando per la fase concentrica, sarà in grado di effettuarne altre trattenendo il carico solo nella fase eccentrica. Si tratta quindi di una variante estrema delle ripetizioni forzate, in cui il lavoro eccentrico viene più eccentuato.

Le sovramassimali prevedono l’utilizzo di carichi sovramassimali, vale a dire che superano il determinato carico che può permettere al massimo una ripetizione (100% 1 RM). Si parlerà di intensità o percentuali di carico corrispondenti al 110-120, fino al 130-140% di 1 RM. Tali carichi non sarebbero sollevabili senza l’aiuto di uno o più assistenti neanche dalla prima ripetizione, pertanto ne richiedono l’intervento obbligato a partire dall’inizio della serie. In questa variante, l’atleta, essendo incapacitato a sollevare il carico, dal principio lascia agli assistenti il compito di eseguire la fase concentrica, e su cui eserciterà uno sforzo minimo se non nullo. Il reale sforzo dell’atleta viene applicato unicamente nella fase negativa, in cui sarà impegnato a contrastare la discesa resistendo il più possibile durante tutte le ripetizioni della serie.
Esercizio eccentrico nella riabilitazione

Sebbene alcune evidenze scientifiche rilevino che maggior parte degli infortuni di natura muscolare nel Resistance training si verificano durante le contrazioni eccentriche, che possono causare danni all’interno del normale range di movimento a causa delle diverse lunghezze dei sarcomeri, l’esercizio eccentrico è stato riconosciuto come metodo efficace ai fini riabilitativi. Nell’ambito della riabilitazione a seguito della lesione del legamento crociato anteriore, ad esempio, tale metodo è stato testato con risultati positivi.

Gerber et al. (2009) hanno rilevato che i pazienti sottoposti ad un programma di allenamento di resistenza eccentrico di 12 settimane (assieme ad esercizi di riabilitazione funzionale), iniziando da 3 settimane dopo l’intervento, ha portato a maggiori miglioramenti nel volume muscolare e nella funzione complessiva del quadricipite e del grande gluteo rispetto ad un protocollo riabilitativo standard con pesi, esercizi di resistenza e esercizio funzionale. Un anno dopo, il gruppo che seguiva il metodo eccentrico ottenne un miglioramento maggiore del 50% nell’ipertrofia del quadricipite e grande gluteo. Inoltre, il miglioramento della funzionalità complessiva è stata significativamente maggiore nel gruppo eccentrico rispetto al gruppo di controllo sottoposto ad una riabilitazione standard. I risultati di questo studio mostrano l’importanza di utilizzare l’esercizio eccentrico nelle fasi iniziali di un programma di riabilitazione a seguito di un’operazione al legamento crociato anteriore.

Un altro comune infortunio (soprattutto negli atleti) trattati nei programmi di riabilitazione, è la tendinopatia rotulea (ginocchio del saltatore). Il ginocchio del saltatore si verifica spesso negli atleti di alto livello praticanti pallavolo, basket e calcio. Applicando un protocollo riabilitativo di esercizio eccentrico di 12 settimane, Bahr et al. (2006) non hanno trovato differenze misurabili tra l’intervento chirurgico e un programma di esercizio eccentrico riabilitativo per il ginocchio del saltatore in un gruppo composto da atleti e non atleti, in predominanza uomini. Entrambi i trattamenti hanno portato a netti miglioramenti nella funzione del ginocchio. I ricercatori hanno concluso che l’allenamento eccentrico è un metodo a basso rischio e a basso costo che deve essere considerato prima che un soggetto con il ginocchio del saltatore si sottoponga ad un intervento chirurgico.
La ricerca
Risposte endocrine

Sebbene nel bodybuilding venga largamente promossa l’enfatizzazione della fase eccentrica del movimento, è stato riscontrato che il movimento concentrico produce una maggiore secrezione di GH rispetto all’attività eccentrica. Dal momento che l’incremento dei livelli di GH sono proporzionali agli incrementi di lattato prodotto durante l’attività, sembra che tale risultato sia scontato, visto che le contrazioni concentriche producono lattato a livelli maggiori di circa tre volte rispetto alle contrazioni eccentriche.

Tuttavia, se comparati impostando lo stesso carico, sia la contrazione concentrica che eccentrica hanno dimostrato simili risposte di GH e testosterone. Le contrazioni eccentriche però hanno dimostrato di stimolare meno la produzione di lattato e di cortisolo rispetto alle contrazioni concentriche, mentre altri studi rivelano che la risposta ormonale anabolica non differisce tra le ripetizioni eccentriche enfatizzate e quelle tradizionali su soggetti non allenati.

Bamman et al. (2001) compararono l’esercizio concentrico e quello eccentrico (8 serie di squat) e riportarono che il recettori androgeni mRNA incrementarono del 63% dopo l’esercizio eccentrico e del 102% dopo quello concentrico, senza un concomitante incremento del testosterone sierico. I livelli di IGF-I risposero maggiormente all’esercizio eccentrico, suggerendo che la molecola potrebbe modulare la rigenerazione dei tessuti dopo un danno meccanico.
Risposte metaboliche

È stato inoltre dimostrato che le ripetizioni eccentriche riescano a promuovere un maggiore dispendio energetico durante e dopo l’allenamento. Secondo i risultati di Dolezal et al. (2000), usare 1 secondo nella fase concentrica e 3 secondi nella fase eccentrica influisce sull’aumento del metabolismo basale per 72 ore, contrariamente ad un tempo di 1 secondo per la fase concentrica e 1 per la fase eccentrica. È stato teorizzato che l’aumento del danno muscolare causato dalla ripetizione eccentrica richiede un maggior consumo energetico nella fase di recupero post-allenamento.

Un ulteriore studio di Hackney et al. (2008) confermò che effettuare un esercizio accentuando la fase negativa può elevare in maniera acuta e significativa il dispendio energetico/calorico sia su soggetti allenati che non allenati dopo un allenamento Total body (che coinvolge tutto il corpo in un’unica sessione). L’esercizio eccentrico (1 secondo nella fase positiva e 3 secondi in quella negativa) ha aumentato il metabolismo basale mediamente del 9% dopo l’allenamento. Il dispendio energetico causato dall’esercizio di resistenza è probabilmente dovuto a fattori di ricostruzione associati al DOMS, l’intero processo di riparazione dei muscoli e del costo energetico connesso con la sintesi proteica.

L’allenamento eccentrico aumenta lo stress metabolico, con i maggiori incrementi rilevati durante l’allenamento a intensità eccentriche più elevate. Questi fattori contribuiscono a spiegare perché le ripetizioni eccentriche promuovono maggiori segnali anabolici post-esercizio rispetto all’allenamento concentrico, il che porta ad una maggiore sintesi proteica.
Metabolismo del glucosio e insulinoresistenza

Diversi studi hanno indicato che le concentrazioni di glicogeno nel muscolo scheletrico a seguito dell’esercizio eccentrico sono ridotte. O’Reilly et al. (1987) esaminarono le biopsie a seguito della pedalata eccentrica e rilevarono che le concentrazioni di glicogeno nell’immediato post esercizio erano ridotte del 61% rispetto ai livelli basali e rimanevano ancora depresse del 44% dopo 10 giorni dall’esercizio.

Kuipers et al. (1985) riconobbero che la riduzione del glicogeno era evidente dopo 24 ore dopo l’allenamento piuttosto che nell’immediato post allenamento. Questi dati suggeriscono che l’esercizio eccentrico produca una complessiva riduzione della risintesi del glicogeno. Ci sono ulteriori evidenze che riconoscono una significativa riduzione del tasso di eliminazione del glucosio a seguito dell’esercizio eccentrico, se comparati allo stato di riposo o all’esercizio concentrico e che i livelli plasmatici di insulina sono più elevati.

Analizzando questi ultimi dati si concluderebbe che l’esercizio eccentrico possa provocare una disfunzione del trasporto di glucosio. Il muscolo che partecipa alla contrazione eccentrica potrebbe quindi rivelarsi più resistente all’azione dell’insulina. Asp et al. (1995) riportarono una depressione delle concentrazioni dei trasportatori di glucosio (GLUT 4) da uno a due giorni a seguito dell’esercizio eccentrico, con un contemporaneo decremento delle concentrazioni di glicogeno muscolare. Entrambi tornarono ai livelli basali dopo 4 giorni dall’allenamento.

La stessa équipe di Asp et al. (1996) collegarono il decremento dei GLUT-4 con la ridotta sensibilità insulinica, riportando che il contenuto di GLUT-4 nella coscia allenata con l’esercizio eccentrico aveva subito una riduzione del 39% rispetto ai valori basali, nonostante i più alti livelli di insulina. Ulteriori studi successivi segnalarono un difetto nella funzione dell’insulina a seguito dell’esercizio eccentrico.

Per esempio, Kristiansen et al (1997) riportarono un decremento nel tasso di trascrizione dei GLUT-4 e una riduzione del RNA messaggero per il GLUT-4 (mRNA) dopo 24 ore dall’esercizio eccentrico. Nonostante la vasta mole di ricerche che hanno univocamente riconosciuto una connessione tra insulino resistenza e esercizio eccentrico, più di recente alcuni studiosi hanno ne individuato la capacità di migliorare la sensibilità all’insulina da parte del muscolo scheletrico. Paschalis et al. (2011) notarono che la sensibilità insulinica veniva depressa sul breve termine (1 settimana), ma non sul lungo termine (8 settimane), rimettendo in discussione l’eventuale effetto negativo dell’esercizio eccentrico sul metabolismo del glucosio.
Guadagni di ipertrofia muscolare

Sono state completate una significativa mole di ricerche, che mostrano che l’allenamento eccentrico risulta in un grande guadagno di ipertrofia muscolare. La ricerca dimostra che le ripetizioni eccentriche hanno un maggiore effetto sull’ipertrofia rispetto alle ripetizioni concentriche, e ci sono delle evidenze che fanno ipotizzare che la crescita massima non si ottiene se non vengono eseguite le ripetizioni eccentriche.

Questo può essere correlato al fatto che la fase eccentrica è responsabile di un maggiore danno muscolare. Anche se il danno muscolare può rivelarsi un ostacolo per la prestazione sul breve termine, l’infiammazione associata, e l’incremento del turnover (ricambio) proteico hanno dimostrato di provocare guadagni ipertrofici sul lungo termine. L’ipotesi è che i cambiamenti strutturali associati al danno muscolare influenzano l’espressione genica, risultando in un rafforzamento del muscolo come meccanismo di protezione da ulteriori ed eventuali infortuni.

In uno studio condotto da Higbie et al. (1996) venne concluso che un programma di allenamento che prevede ripetizioni solo eccentriche risulti in un guadagno di massa muscolare del 6,6% dopo 10 settimane, comparato con i guadagni del 5% ottenuti con l’allenamento solo concentrico.

Farthing e Chilibeck (2003) esaminarono le differenze sui guadagni di ipertrofia muscolare delle braccia comparando l’esercizio solo concentrico e quello solo eccentrico per 8 settimane. I soggetti ottennero un guadagno medio del 13% in ipertrofia muscolare delle braccia con il programma solo eccentrico, mentre i soggetti che svolgevano il programma solo concentrico ne guadagnarono solo il 2,5%, pur eseguendo il movimento alla stessa velocità.
Guadagni della forza

Da alcune ricerche, sembra che l’esercizio eccentrico sia responsabile di maggiori guadagni di forza rispetto alla sola fase concentrica. Hortobagyi et al. (1996) rilevarono che un allenamento per forza massima con ripetizioni solo eccentriche dopo un periodo di 6 settimane avesse permesso un aumento medio della forza del 85%, mentre un allenamento solo concentrico nello stesso periodo produsse aumenti del 78%, quando gli incrementi della forza concentrica, eccentrica, e isometrica venivano combinati. È interessante notare che i ricercatori usarono carichi submassimali per l’allenamento eccentrico e carichi massimali per l’allenamento concentrico.

Un altro studio condotto da Higbie et al. (1996), paragonando l’esercizio concentrico ed eccentrico in un programma di 10 settimane, trovò maggiori aumenti di forza con il solo esercizio eccentrico (43%) rispetto al solo concentrico (31%).

Uno studio più recente (Sheppard et al., 2007) ha concluso che un’accentuazione della fase eccentrica provoca incrementi acuti nel salto verticale in altezza, così come nelle variabili cinetiche e cinematiche che sono considerate importanti per la capacità di salto verticale. In altre parole, eseguendo prima un salto verticato usando un carico eccentrico aggiuntivo, nel salto successivo può essere osservata una maggiore forza, velocità e potenza.

                La tecnica dello Stripping

La tecnica dello Stripping (detto anche Drop set, Set discendente o Set a scalare) è una tecnica speciale applicata nell’allenamento di resistenza, in particolare nel body building e fitness.

Esistono alcuni nomi alternativi che vengono utilizzati solo in alcune varianti: Triple drop set è quando il carico viene scalato per 2 volte, e quindi vengono adoperati 3 differenti carichi; Down the rack o Running the rack possono essere applicati quando questa tecnica prevede l’uso dei manubri.
Definizione di Stripping

Durante l’esercizio con sovraccarichi, molto spesso si può andare volontariamente incontro al cedimento muscolare col fine di esaurire le fibre principalmente coinvolte durante il movimento. Una volta raggiunta questa soglia, i muscoli non sono in grado di continuare ad eseguire il movimento con il carico utilizzato, tuttavia è possibile sfruttare l’intervento di alcune fibre muscolari che non sono state reclutate. La tecnica dello Stripping consiste, una volta raggiunto il cedimento muscolare con un determinato carico, nel continuare le ripetizioni con un carico inferiore al fine di riuscire a compiere ulteriori ripetizioni per portare definitivamente a termine la serie, superando l’iniziale ostacolo dell’esaurimento.

In genere queste tecnica si rivela appropriata scalando il peso rispettivamente di circa il 10-25%. Nonostante esistano diverse varianti dello Stripping, la più comune prevede di scalare il carico per 2 volte, quindi nel caso in cui vengano adoperati 3 differenti carichi in ordine decrescente. Ad esempio, si eseguono 8 ripetizioni a cedimento, immediatamente seguono altre 8 ripetizioni senza pausa a cedimento con un peso più leggero, e ancora altre 8 ripetizioni a cedimento con un peso ancora più leggero. Lo Stripping viene eseguito svolgendo il primo gruppo di ripetizioni con un carico abbastanza pesante (generalmente nel range di 3-10 ripetizioni massime), ad intensità piuttosto elevate (75-90% 1RM).

Questa tecnica ha dimostrato di migliorare gli adattamenti e le prestazioni, soprattutto quando le prime ripetizioni sono eseguite ad alta intensità. Le serie a scalare hanno dimostrato di aumentare notevolmente lo stress metabolico, aumentando lo stimolo ormonale anabolico, in particolare a carico del GH. Inoltre questa tecnica ha mostrato di aumentare la sezione trasversale del muscolo in un programma di forza a differenza del normale protocollo di allenamento di sola forza.

Tale metodo rientrerebbe nella categoria delle tecniche olistiche, ovvero di stimolazione globale. Il fatto interessante è che questa metodica permette di reclutare selettivamente in un’unica serie tutte le fibre muscolari variando l’intensità del carico.

I noti ricercatori Fleck e Kraemer, nel libro Designing Resistance Training Programs, sostengono che le serie a scalare consentono di reclutare le fibre muscolari non utilizzate e continuare la serie oltre al punto in cui normalmente queste si sarebbero fermate.

Il primo gruppo di ripetizioni, che potrebbero essere eseguite con un carico relativo al 80% del massimale (% 1RM) recluta il massimo delle fibre, tra cui quelle di tipo IIb; il secondo gruppo di ripetizioni consecutive potrebbe essere eseguito con un carico relativo al 70% del massimale, e recluta soprattutto le fibre di tipo IIa e tipo I; il terzo gruppo di ripetizioni infine può essere eseguito ad un’intensità del 50-60% del massimale, continuando a reclutare soprattutto le fibre di tipo I, più adatte ai lavori di durata muscolare.

Questo ultimo gruppo di serie può riuscire a stimolare anche altre componenti della cellula muscolare come i capillari e i mitocondri.

Ciò è dato dal fatto che, contrariamente ad una normale serie ad alta intensità, la quale prevede tempi sotto tensione (Time Under Tension, TUT) piuttosto ridotti, lo stripping, tra i vari benefici, permette di lavorare ad alta intensità ma prolungare il TUT per tempi molto più protratti andando a stimolare anche quegli adattamenti tipici delle serie a bassa intensità.

Alcuni professionisti consigliano di applicare questa tecnica con cautela. Effettivamente i Drop set sono una tecnica molto efficace, ed hanno la capacità di stressare notevolmente il sistema neuromuscolare. Sarebbero quindi da introdurre solo a fasi cicliche durante le routine periodizzate. Sarebbe indicato limitare il loro uso solo ad alcune serie selezionate in un microciclo, facendo attenzione a rimanere in sintonia con il proprio fisico per rilevare eventuali segnali di sovrallenamento.
La ricerca

La tecnica dello Stripping è stata esaminata da una squadra di ricercatori giapponesi (Goto et al. 2003). Essi vollero confrontare gli effetti delle serie tradizionali ad alta intensità, con quelli delle serie supplementari eseguite immediatamente dopo la normale serie ad alta intensità sulla secrezione dell’ormone della crescita (GH).

Otto soggetti sono stati testati per eseguire 4 diversi protocolli di esercizio di resistenza sul leg extension bilaterale in giorni diversi. I protocolli sono stati suddivisi in 2 tipi di protocollo, vale a dire un protocollo di forza tradizionale e un protocollo combinato. Il protocollo di forza consisteva in 5 set eseguiti al 90% di 1 ripetizione massimale (RM) con 3 minuti di riposo tra le serie, mentre il protocollo combinato aggiungeva a queste ripetizioni al 90% di 1RM ulteriori ripetizioni supplementari ma con 3 intensità diverse.

Un protocollo combinato consisteva nell’eseguire ripetizioni ulteriori con un’intensità relativa del 50% di 1 RM, uno con il 70% di 1 RM, e uno al 90% di 1RM. La concentrazione sierica di GH e di lattato nel sangue sono stati misurati prima, e dopo l’esercizio a 0 e 60 minuti. I valori crescenti di concentrazione di GH sono risultati i più bassi nel protocollo tradizionale ad alta intensità tra tutti i protocolli.

I livelli di GH sono risultati superiori nel protocollo combinato in cui seguivano ripetizioni ad un’intensità del 50% di 1RM, significativamente maggiori rispetto al protocollo tradizionale e al protocollo combinato con il carico al 90% di 1RM. Questi risultati suggeriscono che un protocollo di allenamento ad alta intensità e basso volume, adatto ad indurre adattamenti neuronali, comporta di base una bassa risposta del GH. Tuttavia la secrezione di GH viene aumentata eseguendo una singola serie di esercizi a bassa intensità (50% 1RM) immediatamente in seguito al termine di una serie ad alta intensità (90% 1RM).

Anche se nello studio non è stato testato lo Stripping classico con una doppia riduzione del peso, ma una variante con una sola serie a scalare, ciò serve a comprendere come le tecniche che prolungano il Time Under Tension scalando il peso a seguito del cedimento muscolare durante una serie ad alta intensità producano una significativa maggiore risposta dell’ormone anabolico GH.

Poco tempo dopo, la stessa équipe di Goto (2004) studiò gli effetti dell’esercizio di resistenza con varie combinazioni ad alta e bassa intensità sul breve e lungo termine. Sono state misurate le variazioni acute nelle concentrazioni di GH a seguito di 3 diversi protocolli sul leg extension:

    Tipo ipertrofia: serie a media intensità (10 RM) con periodi di riposo tra le serie di 30 secondi e una riduzione progressiva del carico;
    Tipo forza: 5 serie ad alta intensità (90% di 1RM) e basse ripetizioni;
    Tipo combinato: esercizio analogo al protocollo di forza, ma con l’esecuzione consecutiva di un’ulteriore serie a bassa intensità ed alte ripetizioni (questo protocollo era analogo a quello esaminato nella studio precedente);

L’aumento dei livelli di GH sierico hanno mostrato una dipendenza significativa dal regime: ipertrofia > serie combinata > forza. Successivamente, sono stati studiati gli effetti sul lungo termine di questi protocolli sull’adattamento muscolare. Sedici soggetti di sesso maschile sono stati assegnati a svolgere diverse combinazioni di questi allenamenti: ipertrofia/combinato o ipertrofia/forza, sul leg press e sul leg extension per 2 volte a settimana per 10 settimane.

Durante le prime 6 settimane, entrambi i gruppi hanno utilizzato il programma ipertrofia per guadagnare massa muscolare. Durante le successive 4 settimane, i 2 gruppi ipertrofia/combinato e ipertrofia/forza hanno eseguito rispettivamente il tipo combinato e il tipo forza. La forza muscolare, la resistenza e la sezione trasversale sono stati esaminati dopo 2, 6 e 10 settimane. Dopo le prime 6 settimane, non è stata osservata alcuna differenza significativa nelle variazioni percentuali di tutte le variabili tra i gruppi.

Dopo le 4 settimane successive, tuttavia, la forza massima sul leg press, la massima forza isocinetica, e la resistenza muscolare sul leg extension hanno mostrato aumenti significativamente maggiori nel gruppo ipertrofia/combinato rispetto al gruppo ipertrofia/forza. Inoltre, l’aumento della sezione trasversale del muscolo dopo questo periodo tendeva ad essere maggiore nel gruppo ipertrofia/combinato rispetto al gruppo ipertrofia/forza. I risultati hanno suggerito che una combinazione dei regimi ad alta e bassa intensità è efficace per ottimizzare l’adattamento della forza muscolare in un programma di allenamento periodizzato.
Conclusioni

La tecnica dello Stripping o Drop set sembra sia stata testata direttamente solo in una limitata serie di studi. Ad ogni modo si è compreso che questa, applicata in un contesto submassimale ad alta intensità, può creare una maggiore secrezione di GH, lattato, e un maggiore aumento della sezione trasversale del muscolo, incidendo positivamente sull’aumento della forza massimale e sull’ipertrofia muscolare. Effettivamente l’esercizio con i pesi ad alta intensità è meno indicato per produrre ipertrofia proprio a causa delle limitate ripetizioni correlate (1-5 rip.) e i ridotti Time Under Tension (5-15 sec.), con conseguente bassa risposta del GH e del lattato. L’allenamento di forza ad alta intensità (85-90% 1RM) infatti sfrutta maggiormente il sistema anaerobico alattacido dei fosfati, con l’assenza di impiego glucidico e produzione di lattato. Ma la secrezione di GH è proporzionale alla produzione di lattato, che è a sua volta proporzionale al TUT.

L’aumento delle concentrazioni di lattato nei muscoli e nel sangue avviene in risposta all’attivazione del sistema anaerobico lattacido della glicolisi anaerobica, ma questa subentra in maniera rilevante solo dopo circa i 20 secondi di durata della serie (TUT). Mentre la sola serie ad alta intensità è correlata a TUT molto ridotti e fa affidamento prevalentemente sul sistema anaerobico dei fosfati, prolungare la serie ad alta intensità con ulteriori ripetizioni a bassa intensità permette di prolungare il TUT della serie portando all’attivazione preponderante del sistema anaerobico glicolitico, dove avviene un intenso impiego di glucidi (glicogeno muscolare), e un’alta produzione di lattato positivamente correlata con una maggiore secrezione di GH.

Anche se non è stato studiato direttamente, lo Stripping riuscirebbe a creare un maggiore dispendio energetico totale, e questo avrebbe un effetto di conseguenza anche sul EPOC, cioè l’aumento del dispendio energetico nel periodo successivo all’allenamento fisico. Ciò può essere confermato dal fatto che diverse ricerche hanno constatato che un aumento del Time Under Tension durante le serie porta ad un maggiore dispendio energetico complessivo, e questo è stato inoltre verificato direttamente su altre tecniche come il super set o il super slow.

Ulteriori benefici potrebbero essere riscontrati a livello di una maggiore densità capillare e mitocondriale. Gli allenamenti di forza (esercizio di resistenza ad alta intensità) infatti non permettono di sviluppare la densità capillare, contrariamente all’esercizio di resistenza a media e bassa intensità. L’aumento della densità capillare risulta come una risposta ad una maggiore produzione di lattato. Una maggiore densità capillare può migliorare la capacità di rimuovere il lattato dal muscolo da parte del sangue, favorendo una migliore capacità di tolleranza ad allenamenti che causano un grande accumulo di questa molecola.

L’allenamento di resistenza tradizionale ad alta e media intensità crea un decremento della densità mitocondriale a causa degli effetti attenuanti provocati dall’ipertrofia muscolare. L’osservazione di un decremento della densità capillare è coerente con la minima richiesta del metabolismo ossidativo da parte dei muscoli durante un tradizionale protocollo di resistenza. Questo metodo infatti tende ad attivare prevalentemente il metabolismo anaerobico, e quindi esula da un rilevante intervento dei meccanismi ossidativi per i suoi tempi di attività (TUT) ridotti in combinazione con intensità piuttosto elevate. Tuttavia, evidenze più recenti hanno riscontrato che un allenamento di resistenza che prevede un Time Under Tension di lunga durata (come quelli potenzialmente creati dalla tecnica dello Stripping), riesce invece a stimolare la sintesi di mitocondri.

 


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